Aldo Moro, tra perdono e memoria
46 anni dal rapimento - Parla la figlia Agnese
1978-2024: 46 anni da quel tragico 16 marzo (il rapimento e l'uccisione della scorta) e dal 9 maggio, giorno del tragico rinvenimento del corpo dello statista ucciso. Come ricordare questo anniversario senza cedere alla memoria emotiva o alla commemorazione fine a sé stessa?
“Bisogna riaccendere la partecipazione. Io penso che nelle cosiddette feste per ricordare certi eventi, ad esempio alla Giornata della Memoria per ricordare la Shoah, ci si debba proprio fermare come si fa in Israele. A noi familiari ha sanato e confortato l’istituzione del 9 maggio giornata proprio intitolata alle vittime del terrorismo. La vera ferita è il disinteresse. Sugli anni ’70 c’è stato un silenzio anche pieno di sensi di colpa e poi ci sono state molte interpretazioni sbagliate”.
Chi parla è Agnese Moro figlia dello statista ucciso dalle BR nella più buia delle pagine di storia italiana. Ogni volta che viene invitata a parlare di quella tragedia familiare e nazionale inizia – non a caso – da un dato di “memoria”. Il suo primo pensiero – infatti - è sempre per i 5 agenti della scorta. Tutti morti anche loro. “Ne conoscevo quattro, erano in tutto cinque, uno era entrato da poco, e credevano tutti nel loro lavoro e non lo avrebbero mai potuto lasciare. Da loro ho imparato tanto” dice Agnese Moro che segnala come spesso ci si dimentichi proprio di loro. “Persino in un libro che raccontava il rapimento e la prigionia trovai che erano stati dimenticati”. Ed è quindi sulla memoria, anzi sul ‘come’ si fa memoria che si incentra il ricordo della figlia dello statista. Memoria che non va confusa con “ricordo” e nemmeno con “commemorazione”.
In effetti tra ricordo e memoria ne corre. Il ricordo di figlia è quello che restituisce lo statista nei panni di un papà tenero, a volte buffo. “Così convinto che chi rappresenta gli italiani deve farlo con il massimo della dignità, da arrivare a scendere in spiaggia in giacca e cravatta. Per fare un bagno dovevamo camminare per chilometri” ricorda Agnese.
“Era un padre con qualche anomalia, un grande lavoratore, adorava i giovani e la sua vera vocazione era insegnare, tant’è che persino durante la prigionia - in una delle note fatte pervenire dai carcerieri - giunse a scusarsi con i suoi studenti perché non avrebbe potuto completare il corso. Noi eravamo persino gelosi della dedizione per loro” racconta.
Agnese Moro
Agnese Moro, psicologa e studiosa nella vita, è una donna molto alla mano e cordiale nelle relazioni. A Trento – dove l'abbiamo incontrata qualche anno fa - arrivò dopo un viaggio non facile dovuto alla cancellazione di un volo, con un semplicissimo zainetto sulle spalle identico a quello di tanti altri studenti che affollano un'aula di liceo. Donna semplice, benché portatrice di una storia unica e straziante che l'ha spinta nei confini più arditi: quelli del perdono, della riconciliazione, non facili per chi è pur sempre vittima di un atto arbitrario come la soppressione di una persona cara.
In quell'incontro (erano 32 anni dalla morte di Aldo Moro, ora sono 44), ci spiegò che un conto è il ricordo un altro la memoria. E perché non si fa memoria in questo paese? Come fare a ragionare degli anni di piombo serenamente ma facendone memoria collettiva? Che ne sanno i giovani? Queste le prime domande che le fecero gli studenti.
“Non si può fare memoria in un paese pieno di misteri di stato e di archivi chiusi” afferma Agnese Moro.
Quelli del Ministero degli Esteri sono stati ordinati fino agli anni ’50. "Ma il vero problema è anche che non esiste una cronologia comparata, una storia orizzontale che incroci lo stragismo, con il terrorismo e con la mafia. Non ci sono intersezioni”. E allora come facilitare la memoria?
Per Agnese Moro c’è un versante individuale e uno collettivo. “Per fare Memoria bisogna conoscere, comprendere, giudicare, per poi scegliere. Ecco le quattro azioni lasciate all’individuo e alla società. Lo stragismo era fenomeno di destra che mirava alla Restaurazione e il terrorismo fu la strategia del terrore. Vennero colpite le brave persone che rendevano vera la costituzione, un tentativo di fermare la democrazia che ha a che fare col mettere all’angolo il popolo italiano”.
E le connivenze? A proposito dei veri responsabili della morte di Aldo Moro (che lo statista nella sua ultima lettera indicò esplicitamente nella Dc di allora) la famiglia assunse un preciso atteggiamento. “Implorammo il partito, anche la Croce Rossa era disponibile a fare la sua parte, niente di fatto. Alla fine non ci restò che una cosa da fare: vietare i funerali di Stato. Ecco, non potendo bruciarmi in piazza per mio padre, anche se lo avrei fatto e forse avrei dovuto farlo, affermo che l’unica cosa che noi potemmo fare per lui fu negare i funerali di Stato. Decidemmo di non darlo ad uno Stato che non aveva voluto tentare la via per salvarlo”. Parole che fanno rizzare la pelle e lasciano sul mistero dell’affare Moro, una delle domande più inquietanti della storia della nostra Repubblica.
Un'ultima riflessione: nel 1958 fu Aldo Moro ad introdurre lo studio dell'Educazione civica nelle scuole secondarie, convinto che una crescita economica basata solo sul denaro, senza interessarsi del bene comune, sarebbe stata priva di radici. Aveva ragione. Ma questa materia è poi stata abolita ed oggi l'Italia è lo stato occidentale col più alto tasso di analfabetismo funzionale (47% tra i 16 e i 65 anni secondo lo Human Development Report del 2009). Le fake-news sui social network, attechiscono tra i soggetti che, proprio per difetti di comprensione delle dinamiche politiche e sociali, sfogano in questo modo le loro frustrazioni.
Come sarebbe l'Italia se quel 16 marzo 1978 non ci fosse mai stato? Sicuramente diversa.
editing 2013 / aggiornamento 2024
foto: archivio Famiglia Moro
Autore: Corona Perer
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