Arte, Cultura & Spettacoli

Ai Weiwei. Who am I?

L'artista del dissenso a Bologna fino al 4 maggio 2025

Per il suo impegno e la costante ricerca della verità Ai Weiwei, è stato perseguitato. L'artista del dissenso è a Bologna a Palazzo Fava per una esposizione inaugurata il 21 settembre con grandi installazioni, sculture, video e fotografie che letteralmente invaderanno interamente lo storico palazzo bolognese con Ai Weiwei. Who am I?

Ai Weiwei, artista cinese da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani, si presenta con una domanda per la sua prima personale: “Ai Weiwei. Who am I?” ovvero Chi sono?. Emerge la volontà dell’artista di porre delle domande anziché fornire delle risposte univoche, invitando alla discussione e al dibattito. La sua capacità di utilizzare una vasta gamma di media per esprimere idee complesse e provocatorie, rende questa mostra un evento fondamentale nel panorama artistico contemporaneo.

E' un'occasione imperdibile per esplorare il lavoro di uno degli artisti più influenti del nostro tempo. Le opere esposte, sempre in bilico tra Cina e Occidente e tra passato e presente, toccano istanze urgenti come la libertà di espressione e di informazione, i diritti umani e civili, le migrazioni, le crisi geopolitiche, i cambiamenti climatici, invitandoci a riflettere su temi universali come la libertà, la giustizia, la memoria e la resilienza.

A miti greci e romani dipinti nei celebri cicli carracceschi si contrappongono le favole e le leggende della cultura cinese. Realizzate con bambù, carta di riso e seta, creature mitologiche fluttuano nello spazio, invitando ad una riflessione sulla storia e sull'antichissima identità culturale cinese, quasi spazzata via dalla Rivoluzione Culturale, e portando ad un confronto con la Cina attuale che crea mostri per controllare la popolazione.

«Attraverso la sua arte – conclude il curatore Arturo Galansino – Ai Weiwei ci incoraggia a guardare il mondo tenendo gli occhi aperti e a non accettare passivamente la realtà che viviamo, trasformando l'esperienza artistica in un potente strumento di cambiamento e consapevolezza. L’impegno e la costante ricerca della verità, che l’hanno portato ad essere un attivista e perseguitato politico e a parlare ad una platea molto più ampia del ristretto mondo dell’arte contemporanea, combinati alla sua vasta gamma espressiva messa al servizio di idee coraggiose e provocatorie, fanno di Ai Weiwei uno degli artisti più influenti del nostro tempo. In un momento storico difficile come quello che stiamo vivendo, il suo lavoro e il suo messaggio continuano a sfidare e ispirare il pubblico, ribadendo l'importanza della creatività e del pensiero critico».

LE OPERE IN MOSTRA A BOLOGNA

Alla cancellazione della memoria storica in Cina nella seconda metà del Novecento si riferisce anche l’iconico trittico fotografico Dropping a Han Dynasty Urn. A quest’opera si accompagnano la vetrina con i resti del vaso risalente a circa duemila anni fa e il ready made Han Dynasty Urn with Coca Cola, che, evocando al contempo Andy Warhol e Marcel Duchamp. «La maggior parte delle mie attività – spiega lo stesso Ai Weiwei – riguarda l’aggiornamento o la ridefinizione degli oggetti. Avevo questo vaso da un po’ e ne ammiravo la forma, ma non sapevo cosa farne. Sembrava così spoglio, così vuoto, e volevo renderlo più attuale: per me, il logo della Coca-Cola è un chiaro annuncio di proprietà e di identità culturale o politica, ma è anche un simbolo evidente del non-pensiero. È perciò ignoranza, ma è anche ridefinizione».

Di antiche vestigia si compone anche l’installazione White Stones Axes, costituita da centinaia di asce neolitiche, che invitano il pubblico a riflettere su cosa significhi l’avanzamento della civiltà.

Anche Left Right Studio Material denuncia la persecuzione subita dall’artista in patria. Questo tappeto blu è infatti composto da frammenti di opere in porcellana come Bubble provenienti dalla distruzione, ad opera del regime, dello studio Left/Right di Ai Weiwei a Pechino nel 2018.

Tra le opere esposte non mancano gli oggetti che ricordano il progresso della Cina negli ultimi decenni come la serie di installazioni Forever Bicycles, realizzate con biciclette assemblate in strutture complesse, che rappresentano una riflessione sul cambiamento sociale e urbano in Cina.

Un consistente gruppo di opere in mostra è dedicata al tema delle migrazioni nel Mediterraneo. La carta da parati Odissey, composta in fregi come vasi attici, rappresenta le difficili esperienze dei migranti e idealmente dialoga con i cicli di affreschi di Palazzo Fava. Il parallelismo tra le vicende narrate nell’Eneide e le attuali crisi migratorie sottolinea la continuità dei temi dell’esodo dalle guerre e della ricerca di una nuova patria nella storia umana. «Le mie cosiddette opere d’arte – racconta l’artista – sono tutte frutto dei miei pensieri e delle mie emozioni. Non mi pento di averle create. Riflettono autenticamente i miei veri sentimenti e le circostanze in cui mi trovavo in quei momenti, strettamente legati con le mie esperienze e la mia educazione».

Grandi protagoniste sono le opere composte da mattoncini LEGO, che riprendono, mutandole ironicamente, alcune importanti opere della tradizione pittorica occidentale. Nel contesto della sua pratica artistica, Ai Weiwei ha adottato questo mezzo espressivo dal 2014 creando una nuova forma di linguaggio che, come precisa Galansino «si basa su pixel, digitalizzazione, segmentazione, frammentazione e disconnessione». Un approccio che permette di «esprimere il rapporto tra cultura, politica e ambiente personale in una nuova lingua, combinando sensazioni attuali e memoria culturale, e collegando la comprensione del passato con le aspettative moderne».

In mostra diversi capolavori della pittura rinascimentale, barocca e moderna subiscono questa irriverente trasformazione, come la Venere dormiente di Giorgione (Gemäldegalerie Alte Meister di Dresda), a cui Ai Weiwei aggiunge una gruccia per ricordare gli aborti autoindotti prima della legalizzazione dell’interruzione di gravidanza o l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci (chiesa di Santa Maria delle Grazie, Milano), dove il personaggio di Giuda ha le fattezze dello stesso Ai Weiwei. Direttamente ispirate alla tradizione pittorica bolognese e realizzati espressamente per la mostra a Palazzo Fava, sono invece gli ironici rifacimenti dell’Atalanta e Ippomene di Guido Reni (Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli), dell’Estasi di Santa Cecilia di Raffaello (Pinacoteca Nazionale di Bologna) e di una Natura Morta di Giorgio Morandi (Pinacoteca di Faenza)

Promossa da Fondazione Carisbo nell’ambito del progetto culturale Genus Bononiae e prodotta da Opera Laboratori in collaborazione con Galleria Continua, l’esposizione è curata da Arturo Galansino e si terrà a Palazzo Fava fino al 4 maggio 2025.

Ai Weiwei. Who am I?

Palazzo Fava (Bologna)

dal 21 settembre al 4 maggio

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AI WEIWEI L'ARTISTA MILITANTE

(Corona Perer) - Ai Weiwei non fa solo l'artista, l'architetto, l'attivista politico, il dissidente nel suo paese, è anche un reporter della sua vita. E  di quella degli altri: ai migranti ha dedicato il film ''Human Flow'' .

Da sempre impegnato tra attivismo politico e ricerca artistica, è forse l’artista cinese oggi più famoso nel mondo e nel 2015 è stato nominato Ambasciatore della Coscienza da Amnesty International.

«Ho pensato alla mia esperienza come rifugiato. Quando sono nato, mio padre, Ai Qing, è stato denunciato come nemico del partito e del popolo. Siamo stati mandati in un campo di lavoro in una regione remota lontano da casa [...] È un'esperienza terribile essere considerato straniero nel tuo paese, nemico della tua gente e delle cose che più mio padre amava»

Essere andato a Lesbo tra i rifugiati è stato per lui gettarsi in un dolore grande per il quale poco poteva fare. Alla fine della sua esperienza, passata più che altro a filmare e documentare, si è buttato sulla battigia nell'acqua del mare  e l'unica posa che gli è venuta naturale è stata diventare Aylan, il bambino restituito cadavere dalle acque di un viaggio tragico e pieno di paura. Quella foto suscitò reazioni  e polemiche, ma era il modo di partecipare e fare proprio quel dolore troppo grande per essere narrato sul suo frequentatissimo blog.

Dal 2011 l'artista fa attivismo politico: è l'anno in cui Ai Weiwei viene arrestato e solo nel 2015 gli viene restituito il passaporto e la possibilità di viaggiare fuori dalla Cina per visitare i campi profughi di diversi paesi, tra cui Grecia, Turchia, Libano, Giordania, Israele, Gaza, Kenya, Afghanistan, Iraq, Pakistan, Bangladesh, Messico. Nel 2016 gira un documentario sulla situazione mondiale dei rifugiati.

L'artista cinese oggi vive e lavora tra Berlino e Pechino. Nello studio di Berlino, Ai Weiwei si documenta, scrive, pensa. Le sue performances provocatorie nascono nei locali dove un tempo c'era un birrificio, che ha ristrutturato e rivestito con  piastrelle appositamente cotte per lui: sono riprodotti quei semi di girasole che portò alla Tate Gallery di Londra. Così muove su se stesso, sul suo pensiero. Privilegio raro: calpestare – a performance finita - quei 100 milioni di semi che fece trasportare negli spazi espositivi (anche in quel caso non senza polemiche), uno spazio unico, un pavimento unico.

Afferma di sentirsi inadeguato, dice che questo mondo gira in modo strano e del resto lui, in Cina, ne ha passate di cotte e di crude. Lo hanno spezzato, ma non piegato. La sua azione è politica in senso stretto: da architetto ad esempio non dimentica chi non ha, e tutti ricorderanno che nell'impossibilità di costruire case in un campo di rifugiati donò delle tende perché almeno ognuno potesse avere la propria intimità. E anche l'ultima performance in Italia (estate 2016), con i 22 gommoni che rivestivano la facciata di Palazzo Strozzi era un modo per tornare sul tema degli sbarchi per denunciare l'Europa e la crisi dei migranti, i muri e i politici che non sanno trovare soluzioni sociali. “E' vergognoso non assumersi responsabilità” ha dichiarato denunciando quella che chiama cecità morale di un'Europa al collasso.

Una grande personalità la sua. Scomodo per il suo paese lo è sempre stato, e a dar fastidio prova a piacere. Alla Biennale di Venezia portò il proprio cadavere con un manichino che denunciava il periodo detentivo subìto nel 2011 qundo il governo cinese gli ritirò il passaporto, con la scusa di un'evasione fiscale. Così qualche tempo dopo ballava sulle note di Gangnam Style roteando manette, in ricordo degli 81 giorni di carcere e dell'angusta cella di cui ricorda ogni centimetro.

Ai Weiwei è così: la sua vita è arte e l'arte sta nella sua vita. Ma lui quando parla d'arte è spiazzante: non ama che l'arte abbia prezzi proibitivi, e come direbbe un bravo dadaista ritiene che bruciare un museo renda più celebri che costruirne uno. Detesta il sistema dell'arte e non ne comprende il funzionamento. Non trova un senso nel collezionismo e sa che la sua arte non è vendibile.  "L'idea che l'arte sia costosa non credo sia giusta. Tutte le volte provo vergogna, ma non posso fare quello che voglio: faccio parte di questo sistema". Il suo è pensiero è puro. I posteri lo ricorderanno per le sue azioni e per la sua umiltà. Diranno “un vero artista”. Ma lui si sente in realtà solo un artigiano.

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