Beatrice Cenci, la parricida
La tragedia nella Roma Barocca, modaiola e cortigiana
di CORONA PERER - Era una Roma modaiola, di festosi conviti, cardinali e cortigiane. Quella Roma, gaudente spregiudicata e barocca, che senza pietà la giustiziò. Beatrice Cenci aveva ucciso il padre-padrone, aveva messo in discussione l'autorità e posto innanzi a sè l'autodeterminazione.
A guardarla si resta turbati. Gli occhi tristi e allo stesso tempo sereni di questa ragazzetta di fine ‘500 hanno dentro un futuro rubato, un passato pesante e un presente assente, annullato dalla detenzione. Il capo volto all’indietro sembra salutare un tempo che le sfugge dalle mani.
Si ritiene che Guido Reni l’abbia dipinta durante la detenzione rendendo immortale la figuretta che resta fissata indelebile nella memoria di chiunque la osservi.
Un ritratto che si trova nella collezione di Palazzo Barberini a Roma e che è stato definito: “il quadro più triste che sia mai stato dipinto, o concepito”. Una imago mortis, che evoca tenerezza, dolore.
Benchè consapevole di andare alla morte la piccola sembra tuttavia volgersi serena a dire: ‘meglio così che sotto le grinfie di mio padre’.
Pagò per tutti la piccola Beatrice e il Pontefice, che l’aveva condannata per parricidio, ne incamerò persino i beni. Dal genitore aveva subito ogni sorta di abusi. Costretta alla fame, venne segregata nel castello a Petrella Salto nel Cicolano (provincia di Rieti), di proprietà dei Colonna.
La disperazione della sfortunata ragazza fece maturare in lei, nella matrigna e nel fratello Giacomo, la decisione di ucciderlo. L’uomo fu trovato cadavere la notte del 10 settembre 1598. Si pensò in un primo momento ad una disgrazia accidentale, ma alcuni indizi fecero sospettare l’omicidio.
Le indagini portarono così all'arresto dei Cenci e dei sicari, che sotto tortura confessarono il delitto. Nel processo tutta la città fu coinvolta. Nonostante l'appassionata difesa dell'avvocato Prospero Farinacci, il Papa non concesse la grazia: la condanna a morte doveva essere d'esempio e mònito al popolo. Questo gli consentì di confiscare i beni a una delle famiglie più ricche di Roma.
Le cronache raccontano che tra la folla sotto il patibolo ci fosse anche un giovane pittore lombardo di nome Michelangelo Merisi: il Caravaggio. Quell'esecuzione lo impressionò a tal punto da tradurla nel dipinto di violento e drammatico realismo “Giuditta che decapita Oloferne”. Il soggetto fu poi ripreso anche da Artemisia Gentileschi singolarissima figura di donna-artista contro il sistema, rimarrà così ferita ‘dentro’ da decidere di dipingere soltanto decollazioni che al tempo erano all’ordine del giorno.
Il volto di Beatrice offre un tuffo nella storia e la bellezza fragorosa e traboccante di questo capolavoro del barocco capitolino e papale. La piccola sta andando a morire quando volge il capo. La sua esecuzione avvenne con la matrigna e il fratello Giacomo in una data terrificante già allora. Era l'11 settembre nell'anno del Signore 1599, sotto papa Clemente VIII Aldobrandini, nella piazza di Castel Sant'Angelo a Roma. Le due donne vennero decapitate con la mannaia, mentre Giacomo fu straziato con ferri roventi e poi squartato.
Il fratello minore Bernardo di soli 15 anni venne graziato ma obbligato ad assistere all'esecuzione dei suoi famigliari. Il corpo di Beatrice, come chiesto nel testamento, fu sepolto sotto l'altare della chiesa di San Pietro in Montorio in Roma, e la sua testa posata su un piatto d'argento. Per il popolo era diventata una martire da venerare. Iniziava così il mito della piccola morta in esecuzione di una sentenza voluta da un Papa che voleva punire l'omicidio di un uomo crudele. Quel Francesco Cenci di indole violenta, arrogante e depravato, più volte incarcerato e processato per delitti infamanti.
“Nessuna attenuante” sentenziò il Papa il quale peraltro aveva "assolto" Gesualdo principe di Venosa che aveva trucidato sua moglie ed il suo amante.
Autore: Corona Perer
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