Meraviglie italiane: i Bronzi di Riace
A 50 anni dalla scoperta al Museo Archeologico Reggio Calabria
Sono trascorsi più di 50 anni dalla scoperta, avvenuta il 16 agosto 1972 dei Bronzi noti al mondo come i Bronzi di Riace. La lora casa è il nuovo Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Le bellezza e la potenza iconografica dei Bronzi di Riace, capolavori indiscussi dell’arte greca del V secolo a.C, fanno di questi “Eroi venuti dal mare” uno dei tesori italiani più preziosi.
Basta guardare i dettagli per rendersene immediatamente conto. Il Bronzo A possiede una capigliatura lavorata e rifinita sulla sommità e una barba fitta e abbondante, con ciocche modellate singolarmente; sulla fronte è applicata la tenia, fascia che incornicia i riccioli e conferisce regalità all’acconciatura. Il Bronzo B ha la testa liscia, deformata verso l’alto per accogliere meglio l’elmo corinzio rialzato sul capo in modo da lasciare il volto scoperto.
Scoperte nell’agosto del 1972 da Stefano Mariottini a Riace (RC), le due magnifiche statue in bronzo furono prontamente recuperate e trasportate al Museo nazionale di Reggio Calabria, dove furono sottoposte ad un primo intervento di restauro che permise la rimozione degli strati superficiali di sabbia concrezionata. Sono seguiti poi nuovi restauri a Firenze e ancora a Reggio.
Numerose sono le ipotesi inerenti la loro identificazione: non è ancora stato stabilito con assoluta certezza se la coppia di statue costituisse, fin dalle origini, un gruppo unico oppure se il loro accostamento fosse stato realizzato solo in occasione del trasporto via mare. Anche l’identificazione è piuttosto incerta e dibattuta: atleti, eroi (come Agamennone e Aiace, Achille e Patroclo, Tideo e Anfiarao) o divinità (Castore e Polluce).
Lo studio delle terre di fusione ha permesso di stabilire la provenienza greca delle due statue, rispettivamente dall’Attica e l’Argolide. Presentano quasi la stessa statura (Bronzo A: m 1,98; Bronzo B: m 1,97), le medesime nudità – emblema della condizione divina o eroica – e la postura (la gamba destra è portante, la sinistra è piegata). Originariamente erano accompagnati da armi: l’elmo, lo scudo (sorretto dal braccio sinistro piegato) e la lancia (tenuta dalla mano destra abbassata). I dettagli anatomici sono resi con estrema accuratezza – dall’epidermide affiorano vene e arterie – e la muscolatura possente trasuda fisicità e forza. Gli occhi sono in calcite bianca, con iridi in pasta vitrea e caruncola lacrimale in pietra rosa; labbra, ciglia e capezzoli sono realizzati in rame, mentre la dentatura in lamina d’argento. Sono entrambi prodotti con la tecnica della “fusione a cera persa”.
La datazione dei Bronzi di Riace è controversa. Di certo essi rappresentano due capolavori della bronzistica del V secolo a.C.
E tra le meraviglie di Reggio anche il kouros marmoreo di Reggio Calabria. Si tratta di una statua in marmo pario, purtroppo lacunosa, il cui nome deriva dalla parola greca che indicava il “fanciullo”. In archeologia viene usata per indicare una classe di statue maschili nude in posizione frontale, con le braccia distese lungo i fianchi e una gamba avanzata.
La statua è databile intorno al 500 a.C. e ha un’altezza di circa cm 90 (originariamente doveva misurare circa cm 130). Nonostante la provenienza del marmo dall’isola greca di Paros, è possibile che sia opera di un’artista operante in Magna Grecia, presumibilmente a Reggio.
Il volto presenta occhi definiti solo in parte, originariamente contornati da una linea scura sovradipinta e da labbra rialzate all’estremità, nel cosiddetto “sorriso arcaico”. La raffinata capigliatura è costituita da quattro file di riccioli a chiocciola sulla fronte e sulle tempie, con ciocche ondulate a raggiera raccolte attorno alla nuca in una morbida treccia. Si conservano estese tracce di colore rosso.
L’immagine è stata inizialmente identificata con un giovane atleta e la statua ritenuta a carattere funerario (come segnacolo di una tomba) oppure cultuale (ex-voto in un santuario). Di recente è stata avanzata l’ipotesi che si possa trattare della raffigurazione di Apollo.
Ma c'è molto altro come i tesori del relitto di Porticello. Nel corso del 1969 alcuni pescatori di Villa San Giovanni rinvengono, nelle acque dell’insenatura di Porticello, un piccolo giacimento archeologico sottomarino. Scavi subacquei sistematici iniziano nel 1970 e portano importanti novità sulla struttura del relitto e sul suo carico, affondato tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C. I resti lignei dello scafo che è possibile recuperare sono scarsi, ma sufficienti a conoscere le tecnica di fabbricazione della nave che, inizialmente, doveva essere lunga circa 20 metri; doveva essere inoltre dotata di varie ancore con ceppo in piombo a barre separate e di contromarre rivestite da elementi in bronzo. Il vasellame rinvenuto era in parte ad uso dell’equipaggio (ceramica acroma e a vernice nera), in parte costituiva il carico vero e proprio, ceramica attica e anfore contenenti derrate alimentari. Un elemento caratteristico del carico era costituito da piccoli calamai, usati per contenere e trasportare l’inchiostro, merce rara in età antica.
Le cosiddette Testa del Filosofo e Testa di Basilea
Fra i tesori rinvenuti all’interno del relitto di Porticello spiccano alcuni frammenti di statue in bronzo attribuibili a figure maschili nude, forse atleti, e altri frammenti con ogni probabilità riconducibili a una figura maschile a grandezza naturale, vestita con una lunga veste drappeggiata, la cui testa barbata è pervenuta integra. Non vi sono elementi che permettano di identificare con certezza la natura dell’immagine oggi nota come Testa di Filosofo, che potrebbe essere quella di un letterato o di un pensatore. Il volto presenta tratti molto marcati, occhi piccoli e folti baffi; la barba è molto lunga e le sue ciocche sono lavorate separatamente, così come i riccioli della capigliatura.
Dallo stesso contesto proviene la c.d. Testa di Basilea, caratterizzata da una fitta barba e da una benda tra i riccioli dei capelli. È databile alla metà del V secolo a.C.
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Per saperne di più
Segnaliamo il libro fotografico “Bronzi di Riace”, quarto volume della collana “Tesori Nascosti” di 5 Continents Editions, sulla ricerca fotografica di Luigi Spina. La pubblicazione è in tre edizioni: una italiana, una inglese e una francese. “L’epidermide bronzea, diversa per ciascun soggetto – spiega Luigi Spina autore delle immagini – prende forma, densità e lucentezza, e il chiaroscurale dei corpi si tinge dello spettro multiforme del bronzo che, al variare della luce, mostra superfici corporee che dialogano con l’occhio dell’osservatore”.
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