Carlo Zinelli, maestro di Art Brut
La sua vicenda va oltre il rapporto tra follia, malattia mentale, mal di vivere e pittura
Carlo Zinelli (1916 – 1974) visse isolato dal grande circuito dell’arte contemporanea, creando attraverso visioni ossessive e continue un mondo fatto di animali, persone, e scrittura, unico nel panorama dell’arte del dopoguerra italiano. Esponente dell’Art Brut in Italia fu artista sorprendente, oggi attualissimo, pittore unico e dirompente, dalla fervida immaginazione che nelle tempere, nei collage e nei disegni su carta fronte-retro mise il suo universo... folle.
La sua vicenda va oltre il rapporto tra follia, malattia mentale, mal di vivere e pittura. Una delle particolarità del modus operandi di Zinelli è che lavorava sempre istintivamente sulla totalità della superficie del foglio.
Per questo la sua poetica, così forte e originale, supera i confini dell’Art Brut della Collection de l’Art Brut a Losanna. La libertà che contraddistingue il suo lavoro ci permette oggi di leggerlo in chiave contemporanea e indipendente, forte di una originalità lontana da ogni movimento precostituito.
L’esperienza artistica di Carlo Zinelli fu inizialmente legata all’Art Brut, il movimento internazionale nato ai margini della società e promosso dall’artista francese Jean Dubuffet a partire dal 1945. L’Art Brut fu la soluzione di Dubuffet all’assimilazione sistematica da parte della cultura di massa di qualsiasi nuova manifestazione e interpretazione artistica e culturale.
L’opera di Zinelli si inserisce, in maniera quasi profetica, in un contesto storico preciso, che vede da un lato la piena realizzazione delle grandi avanguardie del XX secolo, nello sforzo di rompere definitivamente con la tradizione modernista, e dall’altro l’individuazione di una nuova attitudine, anarchica e clandestina, che in egual misura, seppure inconsapevolmente, è mossa da un medesimo spirito di innovazione e superamento delle convenzioni e delle rigidità del sistema e delle istituzioni.
Nato a San Giovanni Lupatoto (Verona) nel 1916, si trasferì a Verona con la famiglia a diciotto anni e nella città scaligera iniziò a lavorare come addetto al macello comunale fino all’arruolamento nell’esercito e alla partecipazione alle drammatiche vicende della guerra civile spagnola nel 1939.
Nel 1941 iniziò a manifestare i primi sintomi di una malattia psichica che lo costrinse a vari ricoveri in manicomio fino all’internamento definitivo in quello di San Giacomo della Tomba a Verona nel 1947. I primi 10 anni furono anni di isolamento e di Carlo Zinelli non si ebbero notizie fino al 1957 quando, grazie al lavoro dello scultore Michael Noble – con il sostengo del direttore dell’ospedale Carlo Trabucchi – si aprì l’atelier d’arte per gli ospiti della struttura sanitaria. Zinelli ne era uno dei più assidui frequentatori, a volte dipingendo per otto ore di seguito al giorno. Le attività all’interno del manicomio venivano spesso affiancate da quelle all’aperto nei giardini di Villa Idania, la dimora sul lago di Garda dove Noble risiedeva insieme a sua moglie Ida Borletti.
Carlo Zinelli è stato un artista estremamente prolifico e nelle sue opere reinventava continuamente il tempo e lo spazio, sviluppava motivi e soggetti figurativi visionari ma allo stesso tempo legati al suo passato e alle esperienze presenti. In tre decenni maturò una padronanza del mezzo pittorico (pastello, tempera, inchiostro, grafite) che si traduceva in una conoscenza approfondita dell’uso del colore e del segno grafico, mescolando elementi del quotidiano con visioni oniriche e a tratti magiche.
Da subito la sua originalità lo differenziò dalla semplice identificazione legata alla condizione mentale, tanto che nel 1957 i suoi disegni vennero esposti per la prima volta in una mostra collettiva a cui lo scrittore e giornalista Dino Buzzati diede il titolo Sono dei veri artisti.
La prima mostra collettiva internazionale in cui vennero presentate le sue opere, invece, fu Bildnerei der Geisteskranken – Art Brut – Insania pingens alla Kunsthalle di Berna nel 1963, diretta allora dal grande e lungimirante Harald Szeemann, il primo a introdurre l’Art Brut verso l’arte contemporanea. Numerose anche le mostre e gli omaggi organizzati dopo la sua morte: tra quelle più significative la retrospettiva presso la Collection de l’Art Brut a Losanna nel 1985, quella dedicatagli dal Musée d’Art Brut a Parigi nel 1996 e la prima mostra oltreoceano alla Phyllis Kind Gallery di New York nel 1993. Più recentemente, invece, ci sono stati l’omaggio dell’istituzione londinese The Museum of Everyting durante la Biennale di Venezia del 2013 che lo rivelò appieno come artista contemporaneo, quello dedicatogli dall’American Folk Art Museum nel 2017 in occasione dei cento anni dalla nascita e l’inserimento delle sue opere nella mostra Italics Arte italiana fra tradizione e rivoluzione, 1968 – 2008 a Palazzo Grassi, curata da Francesco Bonami nel 2008.
Omaggi in Italia non sono mancati. Tra questi a mostra prodotta nel 2019 dal Comune di Mantova, Fondazione Palazzo Te e Fondazione Cariverona Cultura, nelle Sale Napoleoniche di Palazzo Te con saggi di Luca Massimo Barbero e Lorenza Roverato. Alla mostra era seguito a Verona un allestimento all’interno dello spazio espositivo di Palazzo Pellegrini in via Achille Forti, sede istituzionale di Fondazione Cariverona.
“Zinelli è stato un artista a tutti gli effetti, e le sue opere prescindono dalla sua malattia. Il suo stile da un lato ribadisce con forza e in maniera pionieristica il valore dell’immagine come veicolo di libera espressione e dall’altro si fa interprete, anticipandola, di una certa figurazione che ritroviamo citata nei segni, figure e tratti che caratterizzano alcune grandi tele di Enzo Cucchi, le mappe di Öyvind Fahlström o le ossessioni di Yayoi Kusama, esperimenti con le forme e le immagini dei corpi tanto cari all’arte di oggi” ha scritto Luca Massimo Barbero. "La vicenda di Carlo Zinelli, va oltre la storia e la retorica del rapporto tra follia, malattia mentale, mal di vivere e pittura, che ha attraversato la storia otto-novecentesca da Van Gogh in avanti. È il racconto, al tempo stesso salvifico e senza speranza, di come la poesia, l'armonia, e l'arte possano abitare nell'umano anche a prescindere da quanto si conosce, dalla propria formazione intellettuale. Salvifico perché è il racconto di come l'estrema marginale umiltà possa far nascere fiori di grandezza; senza speranza perché questa fioritura non toglie il dramma e, se si vuole, la tragedia del silenzio cui la malattia e la reclusione condannano''.
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