Castel Thun, scrigno di nobiltà
Vigo di Ton: ultimo intervento sull'orto antico
Castel Thun, uno scrigno di nobiltà. A Vigo di Ton, è un passaggio obbligato per capire il Trentino.
Questo meraviglioso castello decisivo per comprendere la storia trentina continua a evolvere nel rispetto del suo augusto passato. Grazie a fondi ministeriali, è stato ripristinato l'orto storico, un tempo noto come Vaneggia Rossa. Il progetto comprendeva la cura del bosco di origine medievale e dei sentieri che circondano il castello, e il ripristino degli orti storici situati vicino alle mura.
Sono state messe a dimora diverse specie di piante e fiori, frutto di una ricerca d'archivio, tra cui gelsi, bagolari, alberi da frutto, ortaggi e cereali antichi. Queste varietà rappresentano la tradizione agricola e alimentare della famiglia Thun e dell'intera valle, tra Età moderna e primo Novecento. E con l'occasione sono stati realizzati due antichi ricettari della famiglia Thun che testimoniano l'importanza degli orti domestici nella cucina delle dimore aristocratiche.
Dopo la prima catalogazione dei beni (successiva all'acquisizione del castello nel 1992), e una lunga stagione di restauri Castel Thun nel Comune di Vigo di Ton ha riaperto i battenti nel 2010 senza mai diventare un museo.
Nonostante il saccheggio del 1797 dei francesi, Castel Thun, con i suoi saloni principeschi, gli ampi giardini e un complesso sistema di fortificazioni, costituito da torri, bastioni, fossati e muraglie, affascina ed evoca fasti antichi. E’ tra le poche dimore principesche dell’arco alpino a conservare ancora gli arredi originali, oltre ad una ricca pinacoteca di oltre quattrocento dipinti.
“La casa è stata sempre viva e abitata, non deve diventare un museo inaccessibile” diceva nei giorni dell'inaugurazione il dr. Marzatico all'epoca direttore del Castello del Buonconsiglio e oggi Soprintendente ai Beni Culturali. Così è stato. Castel Thun oggi è meta turistica-artistica ed arricchisce la proposta culturale del territorio e la rete dei castelli trentini (che ha in Castel Beseno, Castel Stenico e il Buonconsiglio i suoi maggiori).
Il maniero lega le sue vicende alla nobile famiglia dei Thun, famiglia europea ramificata e ricca, oltre che potente il cui stemma alle origini aveva una forma semplice (uno scudo azzurro attraversato in diagonale da una banda d’oro, sormontato da un elmo con una coppia di corna di bufalo), mentre molto più articolate erano le relazioni che il casato intratteneva con le più blasonate famiglie europee. Tanto che con i secoli il loro stemma evolverà e si arricchirà a segno evidente della potenza raggiunta.
Nel 1516 il blasone inquarta nello stemma quello di Monreale: una mezz’aquila rossa che era stemma di Enrico di Eschenloch. Un secolo dopo, nel 1629, altre acquisizioni di proprietà portano nello stemma dei Thun l’eco della famiglia Caldés. Ora vi sono due elmi, simbolo di grande potere. Il castello passò nel 1926 al ramo boemo, che non solo mantenne l’uso residenziale, ma contribuì alla conservazione dell’edificio. Quando nel 1992 venne a mancare l’ultimo abitante Thun, Zdenko Franz Thun Hohenstein, la Provincia autonoma di Trento espropriò per pubblica utilità il bene e ne entrò possesso. Tra le mani aveva uno scrigno di memoria che non ha mai smesso di essere abitato.
La ‘stanza del vescovo’ è uno dei suoi gioielli. Collocata al terzo piano del complesso fortilizio, è interamente rivestita con un sontuoso arredo ligneo con una monumentale porta intarsiata che si affaccia tra le “boiseries”.
Nella stanza campeggia una imponente stufa in maiolica e un maestoso letto a baldacchino ornato di damaschi rossi. L’austero principe vescovo Sigismondo, che a Castel Thun era nato nel 1621 - e dormiva proprio nella stanza del Vescovo - lascia il suo volto corrugato e poco sereno in una tela dell’ottavo decennio del XVII secolo. Amante dell’arte e dell’architettura, era spesso circondato da artisti e architetti ai quali affidò – fra l’altro – il compito di ristrutturare il palazzo vescovile di Piazza Duomo a Trento.
La quadreria è di enorme interesse si va dalle tele del 1593 raffiguranti Ercole Thun e la sua seconda moglie Dorotea, ritratti in sontuosi abiti rinascimentali, alle opere di datazione più recente comprese tra il 1730 e il 1867. Ci sono dipinti della scuola dei Bassano, ritratti di Giambattista Lampi, l’importante ciclo di tele di maestri bolognesi del Seicento, tra questi il Crespi, opere di Molteni, Garavaglia, Procaccini, Bergler.
Un altro dei tesori di Castel Thun è la biblioteca collocata in uno dei torrini esterni, con soffitto a volta decorato da stucchi. Migliaia di volumi trovano posto nelle scaffalature che ricoprono la stanza dalle cui finestre si gode un meraviglioso panorama sulla Val di Non.
Si tratta di un immenso patrimonio culturale, del quale una parte è purtroppo intuibile da antichi elenchi. Infatti nel 1879 l’archivio di famiglia fu in parte venduto al ramo boemo per fronteggiare alle esigenze di cassa del casato, trovatosi in difficoltà. Nonostante ciò gli studiosi (e fra questi ci fu nel tempo anche Tommaso Gar autore di una storia del Principato trentino) hanno per molto tempo potuto consultare registri, mappe e pergamene rarissime.
Abitano nelle sue stanze pagine di storia del Principato scritte da personaggi di rilievo di questa famiglia dal forte carattere mitteleuropeo. Tra questi va ricordato Emanuele Maria Thun, successore del principe vescovo Pietro Vigilio Thun alla cattedra di Trento: visse una pagina travagliata della Chiesa Tridentina, quella dell’invasione delle truppe francesi e poi del passaggio dalla dominazione austriaca a quella bavarese.
Ma una citazione se la guadagna anche l’illuminato mecenate Matteo Thun, che fu membro della Giovine Italia e sostenitore delle imprese garibaldine.
Un ricco casato, dunque, che ha lasciato tra Rinascimento, Settecento, Impero e Biedermaier meravigliosi secretaires, tromeau barocchi, divani neoclassici, comodini stile impero, cassettoni seicenteschi, stipi, dormeuses, stufe ad olle. Tra le , argenterie ci sono preziosi oggetti di manifattura veneziana, porcellane, vetri da tavola, armi bianche, forzieri, carrozze, slitte. Un passaggio obbligato per capire cosa è stato il Trentino nella storia.
Al piano terra, nella sala delle guardie, non è difficile immaginare soldati in attesa di ordini dal Conte o dal Vescovo appoggiati ai grandi vasconi in pietra che contenevano il grano. Una porticina conduce ai forni del pane e alle cucine. Nella corte interna par di vedere l’andirivieni della servitù che aveva scale proprie per essere invisibile ai piani alti, quelli nobili tanto che le stufe in maiolica dei salotti erano alimentate senza che i Thun dovessero veder girar per casa la legna.
In una delle cucine, con arredi originali, un lampadario stupefacente degno di un artista contemporaneo: una sirena sospesa sul tavolone da lavoro. A poca distanza, la cappella affrescata. Il vescovo poteva celebrare e poi correre verso gli strangolapreti, sentendosi sempre al sicuro: non lontano dalla cappella c’era l’armeria. Le cantine, poste vicino all’antico torrione da cui il Castello si è originato per gemmazione ospitano gli audiovisivi che preparano il visitatore, sussidi grazie ai quali è possibile non solo ricostruire un'epoca, ma anche le tappe dell’ultradecennale restauro, nonchè sentir raccontare dalla servitù, ancora vivente in valle, le abitudini dell'ultimo conte Thun, grande appassionato di cavalli con immense scuderie sotterranee all’elegante porticato con colonne.
Ma è nelle austere stanze che si respira il potere e la cultura di questa grande famiglia, stabilitasi in Val di Non intorno al XII secolo. Le sue ricchezze, pur tra alterne vicende, servirono per arredare con sobrietà ed eleganza. Tappezzerie dipinte a mano sulle pareti, stipiti delle finestre con fregi murali diversi di stanza in stanza (festoni di fiori e frutta oppure vedute su porti lontani del ‘700).
Al primo dei due piani nobili , uno dei dipinti più importanti nella iconografia del Castello: la veduta romantica dell’edificio che domina la valle, dipinta nel 1844 da Roberto Garavaglia. Solo la dorata cornice pesa 80 chili.
Fra ritratti di famiglia e vezzosi omaggi al barboncino bianco che scodinzolava tra i tappeti, ci si imbatte nell’evidenza di un lavoro di ripristino che deve essere stato immenso, affrontato da ben tre Soprintendenze. Un luogo magico dove prendersi una pausa. E in caffetteria, un unico locale con travi a vista con piccolo soppalco in vetro e mura spesse (abituate nei secoli a far da difesa), le finestrelle danno su una vista mozzafiato: la magica Val di Non con i suoi meleti.
Con la recente sistemazione di orti, bosco e giardini, sono state anche restaurate due fontane: una ottagonale risalente al Settecento e una nota come “Fontana delle Carpe”, il torrino cinquecentesco e la storica ghiacciaia. Per aggiungere bellezza...a Bellezza.
(C.Perer)
Autore: Corona Perer
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