Ecco perchè non insegno all'Università
di Ferdinando Camon
Qualcuno mi chiede perché ho preso la strada dei giornali invece dell’università. Non l’ho presa, mi hanno costretto. La facoltà nella quale mi ero laureato ha bandito un incarico d’insegnamento, faccio domanda, siamo in due ma l’altro ha già un altro incarico e a norma di legge deve finire in coda alla graduatoria, infatti la facoltà mette me al primo posto e lui al secondo, ma dà l’incarico a lui senza alcuna spiegazione. Il senato accademico esamina la delibera e la respinge perché “illegittima”. La facoltà si riunisce di nuovo e fa una nuova delibera, identica alla precedente, mi mette al primo posto ma dà l’incarico a quell’altro. Il senato esamina anche questa delibera e la respinge perché “illegittima”.
Dopo un mese la facoltà si riunisce e fa una terza delibera, identica alle precedenti: mi mette primo ma dà il posto al secondo. Il senato esamina anche questa delibera, la dichiara “illegittima” e invia la pratica al ministero.
Il Ministero aveva un ufficio che dava udienza ai partecipanti ai concorsi. Ci vado. Devo parlare con una funzionaria, in una grande sala, piena di tanti concorrenti che anche loro chiedono spiegazioni. Arriva il mio turno. La funzionaria tira fuori una fotocopia della delibera che mi riguarda. Io ho la mia fotocopia in mano, è una fotocopia legale, cioè identica all’originale, timbrata e firmata, e dico: “Ma scusi, la sua copia è falsa, ha una riga in più”. La signora controlla il suo verbale, lo confronta col mio, scatta in piedi e urla: “Fuori tutti!, c’è una cosa delicata”. Usciti tutti e svuotata la sala, dice a me: “Se ne vada, non ho niente da dirle”. Ha cacciato tutti perché non ci fossero testimoni. Dunque al Ministero, se scoprono un’illegalità, la nascondono, la proteggono e tolgono di mezzo i testimoni?
Credevo che un ministero fosse il cuore del cuore dello Stato, che sta allo Stato come una cattedrale sta alla Chiesa. Ma non è così. La mafia accademica conta di essere protetta dal ministero.
Ho pensato a lungo a cosa sentono i protetti dalla mafia accademica, coloro per i quali la mafia commette queste illegittimità. Vergogna? Pentimento? No: orgoglio. Perché i baroni che organizzano questi trucchi per favorire un allievo (che non lo merita) sugli altri concorrenti (che meritano), sono docenti di ruolo, non incaricati ma ordinari, illustri studiosi di Dante o Manzoni o Verga, e l’allievo che vien messo in cattedra non si sente prescelto fisicamente dal suo docente ma misticamente da Dante o Manzoni o Verga, si sente chiamato dai grandi, invitato a salire alla loro gloria.
Da quel momento non è il prescelto dalla mafia che proverà imbarazzo quando incontrerà colui che dalla mafia è stato ingannato e defraudato, ma il contrario: il protetto dalla mafia mostrerà l’orgoglio che gli deriva dal favore mafioso, sentito come un favore divino, superiore al favore della legge, e guarderà con commiserazione il rivale che ha perduto: se ha perduto, gli dèi non sono con lui, dunque qualche colpa l’avrà.
Nei convegni, quando s’incontrano docenti di varie università, uno si rivolge a un altro cercando di sapere chi è il suo protettore, colui che l’ha messo in cattedra, perché dal potere del protettore si può dedurre il potere del protetto. È un sistema che non ha opposizione. Nella società l’opposizione ai privilegi e all’illegalità è uno slogan dei partiti di sinistra, ma in una recente tornata elettorale è nato un partito a sinistra della sinistra che candidava a ministro dell’Istruzione un illustre storico della Letteratura Italiana che, da docente universitario, s’era fatto mettere nella commissione per l’assegnazione di una cattedra e l’aveva assegnata alla sua moglie o compagna.
L’operazione era riuscita, perciò l’autorità del professore era cresciuta. Se avesse perso, sarebbe calata. Avendo vinto, veniva candidato come ministro. Un ministro mafioso non è solo una garanzia, è una risorsa.
Autore: Ferdinando Camon
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