Scienza, Ambiente & Salute

Covid19: il caso di Bergamo e Brescia

Il Covid circolava già a settembre 2019

(Manuel D'Elia) - Lo avevamo già scritto a luglio - l'articolo è in questa stessa pagina -  ma la notizia conquista oggi i principali organi di informazione: il virus SarsCov2 circolava in Italia già a settembre 2019.

Una domanda che ci siamo già posti: com'è possibile che un virus che circolava liberamente in Europa nel 2019, abbia iniziato a far danni in Italia, in una specifica zona a nord (Bergamo e Brescia), a febbraio/marzo 2020? Approfondiamo qui l'argomento con le due novità emerse: la prima è appunto quanto scoperto dall'Istituto Tumori di Milano ovvero che il virus  circolava in Italia già a settembre 2019, ben prima di quanto ipotizzato fino ad ora.

Giovanni Apolone, direttore scientifico dello studio  che l'Istituto dei tumori di Milano ha condotto con l'università di Siena, ha pubblicato sulla rivista "Tumori Journal" l'esito delle ricerche: analizzando i campioni di 959 persone, tutte asintomatiche, che avevano partecipato agli screening per il tumore al polmone tra settembre 2019 e marzo 2020, l'11,6% di queste persone aveva gli anticorpi al coronavirus, di cui il 14% già a settembre, il 30% nella seconda settimana di febbraio 2020, e il maggior numero (53,2%) in Lombardia.

Un'ulteriore e importante conferma, quindi, della presenza del virus in tempi non sospetti.

La seconda novità riguarda l'intervista alla dottoressa Dondini, medico di base a Bologna, pubblicata da La Nuova Bussola quofìdiana. Dondini spiega che, a fronte di una prassi consolidata negli anni che ha sempre consentito di trattare adeguatamente i pazienti affetti da polmoniti intersiziali/atipiche tramite visite e antibiotici, dal 22 febbraio di quest'anno un'ordinanza del Ministero della Salute ha completamente cambiato le carte in tavola. Riportiamo parte dall'intervista:

>> Il 22 febbraio di quest’anno è stata comunicata la circolazione di un nuovo coronavirus. Il Ministero della Salute ha mandato un’ordinanza a tutti noi medici del territorio, dicendoci sostanzialmente che eravamo di fronte a un nuovo virus, sconosciuto, per il quale non esisteva alcuna terapia. La cosa paradossale è che fino a quel giorno avevamo gestito i medesimi pazienti con successo, senza affollare ospedali e terapie intensive; ma da quel momento si è deciso che tutto quello che avevamo fatto fino ad allora non poteva più funzionare. Non era più possibile un approccio clinico/terapeutico. Noi, medici di Medicina generale, dovevamo da allora delegare al dipartimento di Sanità Pubblica, che non fa clinica, ma una sorveglianza di tipo epidemiologico; potevamo vedere i pazienti solamente se in possesso di mascherina FFP2, che io ho potuto ritirare all’ASL solo il 30 di marzo. Ma c’è una cosa più grave.

>> Quale?
> Nella circolare ministeriale, il Ministro della Sanità ci dava le seguenti indicazioni su come approcciarci ai malati: isolamento e riduzione dei contatti, uso dei vari DPI, disincentivazione delle iniziative di ricorso autonomo ai servizi sanitari, al pronto soccorso, al medico di medicina generale. Dunque, le persone che stavano male erano isolate; e, cosa ancora più grave, il numero di pubblica utilità previsto non rispondeva. Tutti i pazienti lamentavano che non rispondeva nessuno; io stessa ho provato a chiamare il 1500 senza successo. Un ministro della salute che si accinge ad affrontare una emergenza sanitaria prevede che i numeri di pubblica utilità non rispondano?

>> Un disastro.
In sintesi: le polmoniti atipiche non sono state più trattate con antibiotico, i pazienti lasciati soli, abbandonati a se stessi a domicilio. Ovviamente dopo 7-10 giorni, con la cascata di citochine e l’amplificazione del processo infiammatorio, arrivavano in ospedale in fin di vita. Poi, la ventilazione meccanica ha fatto il resto.

Ecco. Sommate quello che ha detto la dottoressa Dondini a quanto ha scoperto l'Istituto Tumori di Milano. Un virus attivo in Italia a settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio, che i medici sanno come trattare, fino a quando, a fine febbraio, viene stabilito dall'alto che occorre utilizzare un altro approccio. E il resto è storia.

15 novembre 2020 - Manuel D'Elia

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Covid19: a Brescia pare circolasse da fine 2019

1 luglio 2020 Manuel D'Elia -  Inutile girarci intorno: se non ci fossero le province di Bergamo e Brescia il “problema italiano” sarebbe stato sicuramente enormemente ridimensionato. Gli esperti si stanno chiedendo il perché di questa anomalia. Aria inquinata, vetusti condotti di aerazione negli ospedali o nelle case di riposo. In ogni caso, anche in questo caso ci sono dei precedenti.

E allora ecco una veloce rassegna stampa.

9 settembre 2018, La Stampa: “Allarme in Lombardia per una epidemia di polmonite: 121 persone ricoverate” (leggi qui)

11 dicembre 2018, il Giorno: Polmonite a Brescia, 878 malati senza un perché” (leggi qui)

Qualcosa di strano nel caso lombardo c’è: si sono superati i morti totali dell’intera Cina e in un lasso di tempo più breve. Ora però ci sono anche  evidenze inquietanti. ANSA scrive in questi giorni che ormai è assodato: il Coronavirus circolava prima del 20 febbraio quando si è scoperto il paziente 1.

Ma già da novembre anche ad Alzano Lombardo, più precisamente nell'ospedale che è al centro dell'inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione dell'emergenza ci sarebbero stati casi di 110 pazienti con polmoniti con "agente non specificato", che quindi potrebbe essere Covid. Queste polmoniti sono state 18 a novembre, 40 a dicembre e 52 a gennaio.

E nel 2019? furono 256 contro le 196 dell'anno prima, un aumento di circa il 30%. Una 'anomalia' che è anche oggetto di approfondimento investigativo della Procura, così come la mancata istituzione della zona rossa.


Autore: Manuel D'Elia

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