Il Dante ingabbiato di Lara Favaretto
Momentary Monument (Wall) scandalizzò la sonnacchiosa Trento. Era il 2009
Le polemiche furono roventi nel 2009, ma il Dante ingabbiato era un lavoro sulla memoria collettiva. "Momentary Monument (Wall)" di Lara Favaretto nel 2009 risvegliò la soporosa Trento in difficoltà a comprendere il significato dell'opera. Il Monumento davanti alla stazione di Trento (il poeta ha un braccio alzato verso nord che è sempre stato considerato un simbolo della lotta irredentista) era stato commissionato dalla Fondazione Galleria Civica, oggi Galleria Civica annessa al Mart.
L’artista che nel 2019 fu una delle due italiane invitate al Padiglione Internazionale della Biennale, aveva reinterpretato l’immaginario dantesco e implicitamente aveva riflettuto sui muri che si ergono intorno alla identità, tema che se vogliamo ha dominato querst'ultimo decennio. Dunque per il 2009 una vera e propria intuizione.
La performance era partita sin dall'allestimento con l'intervento di numerosi operai attorno alla statua per circondarla fino quasi a oscurarla, con una pila di sacchi di sabbia alta otto metri simili a quelli utilizzati contro le inondazioni. Dunque un anti-monumento che sembrava evocare un'azione di difesa, una barriera, un'auto astensione dal mondo di fuori, in ragione di un comodo recinto entro il quale trovare certezze che non turbano le identità. In realtà Dante fu uomo capace di andare e osare: aveva scelto l'esilio pur di affermare da buon toscanaccio la sua visione del mondo. Ma l'opera si avvaleva di una doppia memoria: il Dante-identità italiana, e il Dante-monumento alla autopercezione di un popolo di confine.
Le polemiche sull'opera riguardarono i costi. A dire fu colpa anche di una comunicazione poco avveduta che - presa dall'entusiasmo - aveva messo in rilievo i numeri quanta sabbia, quanti sacchi, quanti operai, per arrivare fino alle impalcature e alle polizze a tutela del personale pubblico impiegato. Inevitabilmente la comunità ne percepì soprattutto il costo a suo carico.
Lara Favaretto ed il direttore della Fondazione (all'epoca c'era Andrea Villiani al timone) ci rimasero male: per il direttore dell'Adige dell'epoca Pierangelo Giovanetti fu solo una boiata pazzesca (leggi qui).
Ma lo scopo era stato raggiunto: un po' come era accaduto per la rana crocifissa di Museion, a Bolzano, anche Trento aveva avuto i suoi 15 minuti di celebrità.
Autore: Corona Perer
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