Diritti Umani in Cina
Persecuzioni verso gli uiguri: strazianti testimonianze
(10 giugno 2021 - foto copertina Matteo Bastianelli) - Gli uiguri sono odiati dal sistema politico cinese. Subiscono forti discriminazioni in materia di occupazione, istruzione, alloggio e hanno ridotta libertà religiosa e politica. Tortura, trattamenti o pene crudeli, disumani e degradanti: questa è l'altra Cina.
“Nello Xinjiang le autorità cinesi hanno dato vita a un inferno distopico di dimensioni gigantesche”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International. “Gli uiguri, i kazachi e le altre minoranze musulmane subiscono crimini contro l’umanità e altre gravi violazioni dei diritti umani che minacciano di radere al suolo le loro identità culturali e religiose”
Amnesty International ha raccolto gli strazianti racconti dei familiari, in esilio, dei minori uiguri che vengono tenuti in “orfanotrofi” statali nella regione cinese dello Xinjiang. L’organizzazione ha parlato con genitori che sono stati completamente separati dai propri figli, alcuni di soli cinque anni, e non possono fare rientro in Cina per il timore di essere mandati in campi di internamento di “rieducazione”.
È stato calcolato che dal 2017 oltre un milione e mezzo di persone sono state arbitrariamente detenute nei cosiddetti centri di “trasformazione attraverso l’educazione” o di “formazione professionale” nella regione dello Xinjiang, dove hanno subito varie forme di tortura e maltrattamento, tra cui l’indottrinamento politico e l’assimilazione culturale forzata.
La spietata campagna cinese di detenzioni di massa nella regione dello Xinjiang ha messo le famiglie separate in una situazione senza via d’uscita: ai minori non è consentito partire, ma i loro genitori si troverebbero ad affrontare persecuzioni e detenzioni arbitrarie se tentassero di ritornare nel proprio paese per occuparsi di loro. Amnesty International ha intervistato sei famiglie uigure in esilio che risiedono attualmente in Australia, Canada, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Le famiglie, che hanno lasciato la Cina prima dell’intensificarsi della repressione nei confronti di uiguri e altri gruppi di minoranze musulmane nel 2017, non immaginavano neanche lontanamente che ai loro figli sarebbe stato vietato raggiungerle.
Le autorità hanno negli anni incrementato ogni manifestazione pubblica dell'Islam; sono stati vietati barbe lunghe, veli, hijab e t-shirt con la mezzaluna islamica e la stella. La condanna all'ergastolo pronunciata da un tribunale cinese per l'accademico uiguro Ilham Tohti con l'accusa di "separatismo" la dice lunga.
Attraverso il suo lavoro di scrittore, Tohti ha cercato di costruire la comprensione reciproca tra uiguri e cinesi nella regione autonoma uigura dello Xinjiang (Xuar), segnata da crescenti tensioni etniche nella regione. Ha fondato il sito uighur online e ha criticato apertamente le politiche di Pechino nello Xuar.
La polizia ha arrestato Tohti, insieme a sette studenti uiguri, lo ha torturato durante la detenzione, è stato privato del cibo per 10 giorni e incatenato per oltre 20. Il suo processo è stato segnato da una serie di lacune giuridiche. Al suo team legale è stato negato l'accesso alle prove e non ha potuto incontrare Tohti per sei mesi. Uno degli avvocati di Tohti è stato anche costretto a lasciare il caso in seguito a pressioni politiche. La condanna di Tohti ha poi prodotto un'ondata di scontri e repressioni. Sarebbero stati uccisi ben 2000 uiguri quando la polizia ha aperto il fuoco su centinaia di persone che protestavano contro le severe restrizioni imposte ai musulmani durante il ramadan.
IL RAPPORTO DI AMNESTY INTERNATIONAL
(10 giugno 2021) In un rapporto di 160 pagine, intitolato “Cina: ‘Come nemici in guerra’. Internamento di massa, tortura e persecuzione contro i musulmani dello Xinjiang”, Amnesty International ha denunciato che gli uiguri, i kazachi e altre minoranze etniche prevalentemente musulmane subiscono da parte dello stato cinese imprigionamenti di massa, torture e persecuzioni che si configurano come crimini contro l’umanità.
Il rapporto contiene decine di testimonianze inedite di ex detenuti che hanno descritto le misure estreme adottate dalle autorità cinesi a partire dal 2017 per sradicare le tradizioni religiose e culturali e le lingue locali dei gruppi etnici musulmani dello Xinjiang. Commessi col pretesto ufficiale della lotta al “terrorismo”, questi crimini hanno preso di mira uiguri, kazachi, hui, kirghizi, uzbechi e tagichi.
In tutto lo Xinjiang le autorità cinesi hanno realizzato uno dei più sofisticati sistemi di sorveglianza del mondo e costruito centinaia di centri per la “trasformazione attraverso l’educazione”, veri e propri campi d’internamento. All’interno di queste strutture, i maltrattamenti e le torture sono sistematici e ogni aspetto della vita quotidiana è regolamentato per instillare a forza gli ideali di una nazione cinese non religiosa e omogenea e quelli del Partito comunista.
“Il fatto che enormi numeri di persone vengano sottoposte al lavaggio del cervello, alla tortura e ad altri trattamenti degradanti in quei campi d’internamento, per non parlare degli altri milioni che vivono nella paura a causa del sistema di sorveglianza di massa, dovrebbe sconvolgere la coscienza dell’umanità”, ha proseguito Callamard.
Imprigionamenti di massa
Il rapporto di Amnesty International denuncia l’arresto arbitrario, dall’inizio del 2017, di un numero enorme di uomini e donne appartenenti alle comunità prevalentemente musulmane dello Xinjiang. Centinaia di migliaia di persone sono state portate in carcere e altrettante, se non addirittura un milione o più, inviate nei campi d’internamento.
Tutti gli oltre 50 ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno riferito di essere stati arrestati per condotte del tutto legali, come il possesso di immagini a tema religioso o il contatto con persone all’estero. Un funzionario dello stato cinese che partecipò agli arresti di massa nella seconda metà del 2017 ha raccontato che la polizia portava via le persone dalle loro abitazioni senza mandato di cattura e le poneva in stato d’arresto al di fuori di qualsiasi garanzia giudiziaria.
Gli ex detenuti, nella maggior parte dei casi, sono stati dapprima interrogati all’interno delle stazioni di polizia per prendere i loro dati biometrici e medici e poi trasferiti nei campi. Spesso gli interrogatori avvenivano sulle “sedie della tigre” – strutture d’acciaio con sbarre di ferro e manette incorporate per bloccare i detenuti in posizioni dolorose. I pestaggi, la privazione del sonno e il sovraffollamento erano la norma. Nel corso degli interrogatori e durante i trasferimenti, i detenuti erano bendati e ammanettati.
La vita nei campi d’internamento era rigidamente regolamentata sin dal momento dell’ingresso. Non c’era riservatezza, non c’era autonomia e venivano inflitte dure punizioni, spesso a interi gruppi di detenuti, per banali forme di disubbidienza. Gli internati non potevano parlare tra loro e venivano puniti duramente se rispondevano alle guardie nella lingua natia anziché in cinese mandarino. Ogni attività quotidiana era preordinata e i comportamenti individuali costantemente osservati e valutati.
Torture sistematiche
Tutti gli ex detenuti intervistati da Amnesty International hanno raccontato di aver subito maltrattamenti o torture: oltre alle conseguenze psicologiche della disumanizzazione quotidiana, hanno descritto i pestaggi, le scariche elettriche, l’isolamento, la privazione del cibo, dell’acqua e del sonno, l’esposizione a temperature estreme e l’uso di strumenti di contenzione come le già citate “sedie della tigre”, sulle quali si rimaneva bloccati a volte per 24 ore se non di più.
Un’anziana donna, punita per aver preso le difese di una sua compagna di cella, ha riferito di essere stata trasferita in una stanza piccola, buia, fredda e senza finestre, dove è stata costretta a restare immobile su una sedia di metallo, ammanettata mani e piedi, per tre giorni consecutivi.
Due ex detenuti hanno raccontato di essere stati costretti a trascinare con sé pesanti catene, in un caso per un anno intero. Altri sono stati colpiti con le scariche elettriche o col gas al peperoncino.
Alcuni ex detenuti hanno denunciato di essere stati torturati più volte, altri di essere stati costretti ad assistere alle torture dei compagni di cella. Amnesty International ha appreso di un caso in cui un detenuto è morto dopo esser rimasto seduto su una “sedia della tigre” per 72 ore, di fronte ai suoi compagni di cella.
All’interno e all’esterno dei campi, la popolazione musulmana dello Xinjiang è tra le più pesantemente sorvegliate al mondo. La libertà di movimento degli ex internati è fortemente limitata dalla massiccia presenza delle forze di sicurezza che pattugliano le strade e presidiano migliaia di posti di blocco.
La persecuzione religiosa
Ai musulmani dello Xinjiang non è permesso praticare liberamente il loro credo religioso. Le più semplici pratiche religiose o culturali sono considerate una prova di “estremismo” e un motivo valido per eseguire un arresto. Di conseguenza, la maggior parte delle persone ha cessato di pregare o di ostentare simboli pubblici di osservanza dell’Islam, compresi il vestiario, la cura personale e le formule di saluto come “as-salamu-alaykum” (“la pace sia con te”). Il Corano, i libri di preghiera e altri oggetti religiosi sono stati vietati.
Ex funzionari di stato hanno raccontato ad Amnesty International di aver fatto irruzioni in abitazioni private per confiscare materiali religiosi: “Gli dicevamo di togliere le foto delle moschee e di mettere la bandiera cinese”.
Moschee, luoghi sacri, cimiteri e altri siti religiosi o culturali sono stati sistematicamente demoliti o trasformati in altro in tutto il Xinjiang.
Il governo cinese sta facendo il massimo per nascondere le violazioni del diritto internazionale dei diritti umani nello Xinjiang. Chiunque osi parlare viene minacciato, arrestato e sottoposto a maltrattamenti. La sorte di centinaia di migliaia di detenuti è sconosciuta. Molti potrebbero trovarsi nei campi d’internamento, altri potrebbero essere stati condannati a lunghe pene detentive. Le informazioni ufficiali mostrano un notevole incremento delle condanne al carcere mentre le immagini scattate dai satelliti hanno rivelato la costruzione di nuove prigioni nello Xinjiang a partire dal 2017. Altre persone potrebbero trovarsi in condizione di lavoro coatto o forzato.
“Chiediamo alla Cina di smantellare immediatamente i campi d’internamento, rilasciare le persone arbitrariamente detenute in quelle strutture così come nelle carceri e porre fine al sistematico attacco in corso contro la popolazione musulmana dello Xinjiang”, ha sottolineato Callamard.
Le conclusioni del rapporto di Amnesty International si basano principalmente su testimonianze di prima mano raccolte tra ottobre 2019 e aprile 2021, sull’analisi di immagini satellitari, su dati ufficiali e su documenti governativi trapelati al pubblico. BAmnesty International ha intervistato oltre 50 ex detenuti
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