La belladonna, pianta per ...volare
Erbe & Streghe - di Gloria Canestrini
Quando si parla di “erbe delle streghe” ci si riferisce a diverse categorie della farmacopea impiegata dalle matres herbarium.
Erika Maderna nel suo saggio “Per virtù d’erbe e d’incanti” edito da Aboca, ne ricorda principalmente due: quella delle piante psicotrope, spesso letali, ossia narcotici e allucinogeni velenosi rinvenuti dalle medichesse in natura e una farmacopea più dolce, quella delle erbe comuni che costituivano la farmacia domestica del mondo contadino.
La pianta che affrontiamo oggi - la belladonna - appartiene senz’altro al primo gruppo, degna consorella di altre essenze micidiali, reperibili allo stato selvatico, quali il giusquiamo, lo stramonio, la cicuta, la mandragora, l’aconito. Di tutte queste, come di quelle meno pericolose nel trattamento dei malanni ( l’artemisia, il mirto, la menta, la verbena, la lavanda, la betonica, il caprifoglio, la malva, la salvia, la ruta e altre) avremo occasione di parlare più avanti.
Partiamo da quella che potremmo definire la regina dei capi di imputazione a carattere venefico ( nei moderni processi rientrerebbe a pieno titolo nel concetto di arma del delitto, sia che si tratti di omicidio qualora raggiunga immediatamente lo scopo letale, sia che provochi consistenti danni all’organismo nel corso del tempo), ossia l’Atropa Belladonna.
Il principale principio attivo di questa pianta medicinale appartenente alle Solanacee è l’atropina. Il nome deriva da Atropo, una delle tre Moire che nella mitologia greca taglia fatalmente il filo della vita. Impiegato nelle giuste dosi è tutt’oggi utilizzato dalla medicina tradizionale in campo oculistico, per dilatare le pupille allo scopo di osservare il fondo oculare ed è anche utilizzato in omeopatia. L’alcaloide estratto dalla belladonna, di cui si usano a scopo terapeutico le foglie, i semi e le radici è noto per le qualità narcotiche, anestetiche locali, antinevralgiche, antispasmodiche.
L’atropina agisce con offuscamento sensorio e della coscienza, a dosi notevoli compaiono allucinazioni visive e auditive, stato di esaltazione, afasia, ottundimento psichico e il sonno che sopraggiunge è popolato da incubi, così come con la scopolamina, un altro alcaloide contenuto nella belladonna. Entrambi questi veleni penetrano facilmente nell’organismo attraverso la cute e la mucosa tramite pomate o per fumo.
D’accordo: ma perché “belladonna”?
Il secondo nome botanico deriva dalla storia della cosmetica: anticamente era ben conosciuta la proprietà dell’atropina di allargare le pupille e le gocce oculari fatte con l’estratto di questa pianta erano impiegate per dilatare le pupille per….ragioni estetiche!
Comunque sia, molti di noi già conoscono questo arbusto perenne, che si veste nel periodo estivo di caratteristiche bacche rosso vivo (talvolta purtroppo scambiate per mirtilli con fatali conseguenze), resistente al freddo, amante della semiombra, che talvolta vediamo inerpicarsi su fusti o cespugli vicini, come un vezzo da belladonna, appunto.
La sua storia però lo fa rientrare a pieno titolo negli annali criminali. In molti processi Medievali infatti la faccenda era seria.
L’Atropa Belladonna miscelata insieme all’estratto di Potentilla erecta e di Aconitum Napellus ( la composizione “di supporto”, come vedremo, poteva variare di molto ed era solitamente unita all’eccipiente che ne permetteva l’assunzione e il rilascio, ossia il grasso di maiale spalmato sul corpo) costituì la prova principale nell’accusa rivolta alle donne processate con l’accusa di stregoneria, quella di recarsi in volo verso i raduni notturni e i Sabba.
Il numero delle condanne e delle esecuzioni capitali, generalmente al rogo, che seguirono questa accusa non lo sapremo mai con certezza. Ogni fonte per lo studio di questo argomento appartiene a un’unica matrice, che è quella del potere del tempo, sia civile che ecclesiastico. Ogni fatto processuale è infatti accertato attraverso la ricostruzione della storia delle persecuzioni operata da studiosi, eruditi, storici, economisti, facenti parte della medesima matrice.
Lamberto Daneo racconta che, nella sola città di Genova, in tre mesi furono condannate a morte più di 1485 donne “volanti”; l’inquisitore di Como ne fece ardere quarantuno. Nello spazio di centocinquant’anni furono arse a Como trentamila streghe, per lo più condannate per i “voli”. Insieme ad altre variegate accuse, che vedremo man mano che tratteremo della farmacopea naturale a cui attingevano le medichesse popolari, non è esagerato affermare che nel solo arco alpino le donne uccise a causa di queste accuse furono oltre duecentomila. Per tutto il 1600 le streghe portarono le colpe di tutte le disgrazie del genere umano. Ma torniamo alla pomata incriminata...
La traduzione di un testo di Francis Bacon recita: ''...Si dice che l’unguento usato dalle streghe sia fatto con succo di atropa, latuca virosa e potentilla, mescolate con farina e grasso. Io però penso che siano medicinali soporiferi, con cui si preparano questi unguenti...''. Il filosofo, giurista, politico e saggista vissuto alla corte inglese a metà del cinquecento, aveva proprio ragione. L’Atropa Belladonna e le altre sostanze di cui abbiamo parlato non erano ovviamente in grado di provocare il volo, ma inducevano un sonno allucinato che poteva imprimere nella coscienza alterata la sensazione di volare.
Le povere donne, imprigionate, interrogate e torturate, finivano inevitabilmente per confessare ciò che veniva loro richiesto e tanto bastava a condannarle.
Comunque, per chi di voi volesse provare, ecco una ricetta del 1737: ''Unguento verde delle streghe''
...Si mescolino i succhi di Atropa Belladonna, giusquiamo, Amanita Muscaria ( come sappiamo le Amanite sono funghi velenosi psicoattivi e, come canta la Prima Strega nel Macbeth, veniva bollito nel calderone solo il rospo che se ne era cibato) aconito, datura, digitale, papavero, e conium con grasso. Si spalmi l’unguento sul viso, sotto le ascelle, sulle mani. Volerete.
Credo, però, che sia meglio lasciar perdere….
Gloria Canestrini, dicembre 2023
Autore: Gloria Canestrini
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