Erri De Luca, inganni biblici
Sacra Scrittura? Approssimata per difetto
di Corona Perer - Approssimato per difetto: secondo Erri De Luca è questo il modo in cui ci è arrivata la Sacra Scrittura che lui ha studiato da solo quando ancora non era scrittore e faceva l’operaio. La frequenta ancora, senza tuttavia essersene mai innamorato, infatti mette subito le cose in chiaro. “Non sono un credente” dice e alla nostra domanda sul perché ciò non sia accaduto risponde “…non sono riuscito a dare del Tu a Dio”.
Quanto al Nuovo Testamento che di fatto completa e trova nell’Antico continui rimandi e conferme, è ancora più esplicito. “E’ arrivato già tradotto in greco, non esistono gli originali, è come far arrivare un testo sardo direttamente in lingua inglese” risponde. Quindi come fidarsi?
Quando afferma che la Sacra Scrittura per lui è stata solo una gran “compagnia” nelle albe che precedevano l’andare a lavorare, è ancora più onesto, ma alla fine dell’incontro l’impressione che se ne trae è che la sua sia Resistenza. “Per non farmi succhiare dalla vita, succhiavo io qualche ora alla vita per dedicarla al testo sacro, lei ha salvato tutti i miei risvegli, rendendo accettabile l'attrito con la vita. Così mi sono ostinato a trafficare la Parola, alla fine credo solo di essere solo diventato proprietario della lingua italiana”.
Erri De Luca, si dice orgogliosamente napoletano, e incanta il pubblico (ancora una volta tutto esaurito al Melotti) parlando con semplicità della potenza della Parola ma anche dell'uso ciarlatano che delle parole si fa oggi, in un continuo rimando tra un passato ancestrale e un presente sempre più banalizzato. Appuntamento quindi coerente con il tema del festival sospeso tra il reale, il virtuale e il dichiaratamente falso. Con la franchezza che gli è unanimemene riconosciuta, non tace i passi in cui l’inganno è per certi versi evidente.
“La Bibbia non sempre è stata tramandata come era stata scritta” dice, ricordando il proprio percorso autonomo facilitato solo dall’aver studiato da giovane greco e latino, arnesi di scasso per ogni lingua. “Ho affrontato l'ebraico antico e questo ti fa capire la distanza delle traduzioni, a volte deliberata”. Qualche prova? Il comandamento ‘non nominare Dio invano’ che non sarebbe poi così perentorio.
“In realtà si legge ‘non solleverai il nome di Eloim per falsità’ cioè quel nome se nominato a sostegno di una falsità è profanato, imperdonabile”. L’altro esempio più importante riguarda la donna. Lo scrittore-biblista-poeta dichiara che in realtà non venne affatto condannata a partorire nel dolore. “Il testo le annuncia che perderà quella agilità di parto tipica degli animali e traducendo correttamente si dovrebbe leggere che partorirà con ‘sforzo’ ovvero con fatica”. Ma De Luca va oltre e da fine filologo afferma che nel testo sacro la parola ebraica corrispondente viene usata sei volte: quattro nei Proverni, una nei Salmi e una nella Genesi.
“Correttamente in cinque casi su sei. Solo nella Genesi è tradotta male e questo suono come una deliberata condanna al corpo della donna, in contraddizione con il gesto successivo di Dio che è di tenerezza perché copre le nudità di Adamo ed Eva”. Perché è proprio l’amore l’energia che questa divinità (che non vuole essere raffigurata) rivela con la sua parola. “Una divinità che vuole essere amata e che è gelosa perchè la gelosia fa parte dell'amore” afferma De Luca che poi ammonisce. “Attenzione: qui non si tratta di letteratura, non si vuole attrarre e affascinare nessun lettore, ma dire notizie che sono fatti. Quanto diversi siano i tempi odierni dove le parole non portano più la responsabilità e conseguenze”.
Autore: Corona Perer
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