Fabio Guglielmi, i colori dell'anima
Quando la sofferenza diventa arte e inno alla vita
La vita di Fabio Guglielmi non è stata una passeggiata: Marco, suo figlio, è mancato e solo l'arte gli ha dato la forza di andare avanti. L'arte non gli ha tolto nè i colori nè la speranza e guardando le sue opere si sente la forza che scorre nelle vene dell'artista.
La mia pittura nasce dal bisogno di condividere e di comunicare la mia visione positiva della vita e del mondo. Un albero, un volto un paesaggio son per me un pretesto per raccontare la bellezza, la gioia, la luce, il colore della vita. Amo la vita anche quando piovono sassi, amo le passioni, le emozioni che comunque si scatenano: cerco di esprimerle con il colore, nel contrasto di colori o con dolci gradazioni di tinta. La forma dà il ritmo e il senso del tempo. Sento il bisogno, soprattutto di questi tempi, di focalizzare la mia attenzione più sul positivo: è importante, per tutti, darsi dei momenti di pace, di serenità, osservare il mondo intorno senza considerarlo- per forza – nelle gradazioni del grigio. Il mio obiettivo è riportare l’attenzione ai colori del mondo, alle emozioni del vivere.
Quelli che l'artista toscano Fabio Guglielmi usa sono i colori dell'anima, e l'anima è anche il suo organo percettore. La vitalità con cui li usa, l'energia che sprigionano ed entro la quale vengono dosati è frutto di un cammino assolutamente sui generis. Nei quadri di Guglielmi si trova l'arcobaleno, la gioia, la positività della vita che l'artista ha conosciuto...nel dolore.
Segnato dalla perdita del figlio Marco, venuto a mancare poco più che ventenne, l’artista ha dirottato su tela ciò che il suo Marco gli ha donato in anni di sofferenza. Lo chiamava “Cioporosky” e al solo ricordarne la vitalità solare nonostante la malattia, gli si illumina il volto.
"Amo la vita anche quando piovono sassi" afferma l'artista la cui visione positiva investe, avvolge e persino turba. Il colore è euforia, le forme diventano gioco, e l'anima comincia a farsi occhio, mentre l'occhio percepisce che solo l'anima potrà capire davvero il senso delle cose. E' un vedere "oltre".
Non a caso Guglielmi ha frequentato per tre anni i sentieri della scuola steineriana, anche se l'artista afferma che il suo maestro primo (fin da ragazzo e poi nella maturità teorica) è Vasilij Kandisky. L'intensità cromatica delle sue opere senza confini perché concepiti nell'astratto, ne è la prova diretta. Un astratto che non è mai informe e si presta a interpretazioni multiple.
"C'è un certo gusto pop" scrive Fausta Slanzi nella presentazione critica nella quale ripercorre anche altri nobili sentieri calpestati da Guglielmi nella sua ricca Toscana: i pomeriggi passati nelle Sale degli Uffizi a contemplare la grande arte di Raffaello e Caravaggio, Michelangelo e Donatello.
Architetto per professione, notaio mancato (se avesse seguito le orme paterne), a 50 anni Guglielmi ha deciso di vivere appieno la sua vicenda artistica. A stappare la sua fonte creativa è stato un cammino spirituale intrapreso nel 2010 in seguito al quale la produzione è sgorgata copiosa come una bottiglia di brut trionfante nelle sue bollicine.
"L'arte mi è sempre stata accanto, una sorta di terapia per vivere. Oggi è il mio pane quotidiano" dice Gugliemi che scolpisce anche, ma anche in questo caso la materia non è mai scissa dalla pittura e diventa esplosione cromatica che si tratti di fare un gallo e un altro "se stesso".
Ma si sbaglierebbe a interpretare la sua arte come mero frutto d'istinto. La ricerca è "anche" teorica. Il risultato del suo lavoro è un'alchimia fra emozione e materia.
"Ho trovato in Kandinsky e in particolare nel suo saggio Lo spirituale nell'arte il supporto teorico a quello che in fondo fu il mio primo amore da ragazzo. L'astratto salta il figurato e mette in diretto contatto anima, colore e forma. Alla prima intuizione e al primo impulso segue la mia collaborazione razionale alla forma che poi procede per suo conto in un dialogo fattivo tra ragione e sentimento" afferma Guglielmi che trova un paragone musicale al suo procedere.
"E' come il jazz: fantasia al potere". E miglior definizione alla fine non c'è.
Autore: Corona Perer
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