George Orwell ''Noi e la bomba atomica''
Piano B edizioni pubblica altri scritti profetici e inediti
(6 giugno 2024) - "Un’arma complessa rende il forte sempre più forte, mentre un’arma più semplice dona al debole gli artigli con cui difendersi" scrive George Orwell che si riferiva all'atomica e al moschetto.
Dello scrittore che ha lasciato al mondo scritti profetici di assoluta attualità, Piano B Edizioni ha da poco pubblicato Noi e la bomba atomica (13 euro, 120 p.).
George Orwell con la traduzione di Antonio Tozzi ci conferma quel che di lui ormai è evidente: un disicantato gigante del pensiero, un vero profeta. Un intellettuale che seppe vedere il corso delle cose ed il loro pericoloso divenire.
Il piccolo prezioso volumetto edito da Piano B, ha il merito di offrirci cinque inediti mai pubblicati prima in Italia composti in un periodo cruciale in cui Orwell produsse alcune delle sue opere più celebri come 1984 e La fattoria degli animali.
Il libro si apre con una riflessione molto attuale sulla scienza e raccoglie undici scritti di George Orwell - tra cui diversi inediti in lingua italiana - che toccano alcuni dei temi fondamentali dell’autore e giornalista britannico: la guerra, la violenza politica e militare nelle società totalitarie, l’ingiustizia sociale e l’ipocrisia di classi politiche disposte a perpetuare il male in nome della conquista e del mantenimento del potere. Oggi Orwell scriverebbe molto sul ''doppio standard'' nel valutare errori e misfatti tra Orente ed Occidente e anche sullimmobilismo di quelle istituzioni internazionali che dovrebbero morigerare gli animi e che NON funzionano: ne abbiamo scritto > qui.
Della scienza Orwell tenta una definizione e analizzando la ''vulgata'' in un articolo su Tribune del 26 ottobre 1945. Lo scrittore parte dalla convinzione generale: ovvero che lo scienziato sia lo specialista delle scienze esatte e che il mondo sarebbe migliore se se gli scienziati prendessero il controllo. Niente affatto, e fa un esempio: ''la comunità scientifica tedesca non ha opposto la benchè minima resistenza all'ascesa di Hitler''.
Poichè in realtà si può accumunare alla figura dello scienziato anche quella dell'avvocato, del filosofo, del poeta, Orwell osserva che - rispetto agli scienziati - fu ben maggiore il numero di letterati, poeti, scrittori giornalisti che scelsero l'esilio o furono perseguitati dal regime nazista. Mentre ''...più sinistramente, alcuni scienziati tedeschi hanno ingoiato senza problemi la mostruosità della 'scienza' razziale''.
E concludendo il suo articolo afferma che, poco prima di scriverlo, aveva letto su una rivista americana una notizia : alcuni fisici statunitensi e britannici, si erano rifiutati fin dal principio di condurre ricerche sulla bomba atomica, ben sapendo che ne sarebbe stato fatto. ''Ecco un gruppo di Uomini in un mondo di Pazzi'' commenta Orwell. ''Sebbene non siano noti i nomi credo si possa ipotizzare che fossero tutte persone con qualche tipo di background culturale genrale, con una certa familiarità con la storia, la letteratura, la filosofia o le arti, erano cioè persone i cui interessi non erano puramente scientifici''. La scienza insomma ha a che fare con la poesia.
L’articolo che dà il titolo all'antologia di scritti, fu composto da Orwell nell’ottobre del 1945, poche settimane dopo i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, ed è rimasto nella storia perché è lo scritto in cui Orwell coniò il termine ''guerra fredda'', un’espressione tornata attuale in questi in questi tempi per indicare l’allora nuovo ordine mondiale imposto dall’emergere di pochi superstati sempre più potenti e dai tratti totalitari.
Nella sua riflessione Orwell afferma quanto costoso sia produrla e come quindi sia espressione di pochi centri di potere (per assurdo un'arma semplice come il moschetto, facilmente fabbricabile, è dunque un'arma più democratica, fa capire lo scrittore). ''Abbiamo quindi davanti a noi la prospettiva di due o tre superstati, ognuno dei quali in possesso di un'arma con la quale poter spazzare via milioni di persone in una manciata di secondi''.
Per Orwell (siamo nel 1945 mentre scrive) è evidente: la scienza può far male.
''La deriva generale è inequivocabile e ogni scoperta scientifica degli ultimi anni non ha fatto altro che accelerarla''. E pià avanti annota che questa deriva non è certo l'anarchia, ma una reimposizione della schiavitù. ''Forse non ci stiamo dirigendo verso un collasso generale, ma verso un'epoca orribilmente stabile come quella degli antichi imperi schiavisti''.
Di Orwell come ''profeta del disincanto'' abbiamo testimonianza in uno scritto del 1943, sempre su Tribune, in cui analizza il tema della felicità nei regimi socialisti annotando che questo non era affatto l'obiettivo di quella visione. ''L'obiettivo reale del socialismo è la fratellanza tra gli uomini''. Ma c'è un ma:
''Il mondo non ha esperienza di pace e non l'ha mai avuta a meno che in passato non sia davvero esistito il Buon Selvaggio, da qualche parte. Il mondo desidera qualcosa della cui esistenza ha solo una vaga idea''.
E' davvero stupefacente come questi scritti, composti prevalentemente tra gli anni Trenta e Quaranta dello scorso secolo, siano capaci di darci a settant’anni di distanza una lettura di grande attualità: la minaccia della guerra nucleare; la riduzione di vaste aree del pianeta a un cumulo di rovine su cui pochi, potenti superstati, si contendono l’egemonia totale; l’incapacità delle società scientificamente e tecnologicamente progredite di raggiungere un reale progresso etico; l’ingiustizia sociale come presupposto e fondamento di guerre e caos.
Merita chiudere questa (purtroppo) necessariamente breve recensione, con una paginetta degli ''Appunti Sparsi'' uno dei cinque inediti contenuti nel libro pubblicato da PianoB, in cui George Orwell ricorda un crudele scherzo fatto ad una vespa: stava succhiando della marmellata dal suo piatto quando la tagliò a metà.
''Lì per lì sembrò non farci caso e mentre continuava a mangiare un piccolo flusso di marmellata le usciva dall'esofago tagliato, solo quando tentò di volare via si rese conto della cosa terribile che le era capitata. All'uomo moderno è successa la stessa cosa: la sua anima gli è stata tagliata via e c'è stato un tempo 20 anni forse durante il quale non se ne accorto''.
E' qui che George Orwell arriva alla conclusione che per almeno duecento anni abbiamo segato e continuato a segare il ramo su cui eravamo seduti. ''Alla fine siamo caduti ma sotto non c'era un letto di petali di rose, ma un pozzo profondo con del filo spinato''. Non usa il termine globalizzazione, che ancora non esiste, ma di questo sta parlando mentre scrive nella primavera del 1940.
''La meccanizzazione e l'economia collettiva non sembrano essere sufficienti. Da sole hanno portato all'incubo che stiamo vivendo: guerre senza fine e penuria di cibo per amore della guerra, popolazioni di schiavi che lavorano dietro a un filo spinato, donne che strillano metre vengono trascinate via...''
Orwell è sempre una garanzia, il potente antidoto al mondo folle dei Folli. La meravigliosa opportunità di divenire consapevoli. Leggerlo ci aiuta a capire le derive a cui assistiamo di fronte a notizie che anche a noi, come alla povera vespa, tagliano corpo e anima.
Gaza - ne siamo convinti - sta ben rappresentando questa orribile pagina di storia.
Fosse vivo Orwell ci direbbe: ''...Visto? Che vi avevo detto...?''
Corona Perer
8 giugno 2024
Autore: Corona Perer
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