
Il banditore di sorci
...e un mazzo di (pericolosi) fiori purpurei
di Gloria Canestrini - Ingredienti della puntata: un banditore di sorci (per un processo che li vede imputati) e un mazzo di (pericolosi) fiori purpurei.
Ricordate i processi agli animali nel Medioevo? Avevo sottolineato le numerose analogie procedurali con i procedimenti inquisitori che vedevano imputate le donne accusate di stregoneria.
Così come alcune di queste donne, nel corso della storica repressione dei saperi femminili e dell'importante ruolo sociale rivestito da botaniche e guaritrici popolari, riuscirono a sopravvivere e persino ad essere scagionate dalle pericolose imputazioni di stregoneria che venivano loro addebitate, anche diversi animali “nocivi” indagati e chiamati a giudizio nei tribunali ecclesiastici durante i la Controriforma riuscirono a scampare alle condanne e alle esecuzioni per loro previste. Come?
Nel modo ancor oggi conosciuto e praticato: quello di avvalersi di una buona difesa.
Sembra paradossale, trattandosi di bestie accusate di essere l'incarnazione del demonio ma, come abbiamo visto la volta scorsa in “Processi agli animali”, l'Inquisizione intendeva procedere con tutti i crismi della (presunta) legalità, assegnando anche alle cavallette, ai bruchi, ai sorci, alle talpe, e perfino a mosche e zanzare, una difesa in giudizio.
Nella quasi totalità dei casi, questi avvocati d'ufficio ( i quali, tra l'altro, non godevano delle stesse facoltà procedurali attribuite agli accusatori) esercitavano solo una parvenza, un simulacro di attività difensive a beneficio dei loro “clienti”.
Non fu così per un celebre processo che si celebrò ad Autun, in Francia, nel 1510. Fu un caso giudiziario strepitoso perché, come riferisce lo studioso Carlo D'Addosio nel suo libro ''Bestie Delinquenti'', ebbe come protagonista l'avvocato, insigne giurista, rinomato giureconsulto e primo presidente del Parlamento di Provenza, Bartholomée Chassenée. L'impresa che lo rese famoso in tutta la Francia e che lo consegnò alla storia fu la difesa dei sorci del vescovato di Autun.
Questi animali si erano a tal punto moltiplicati che avevano devastato le campagne e si erano sparsi ovunque, trovando qualcosa da divorare persino nelle chiese. Le autorità ritennero acconcio metterli sotto processo e, secondo le consuetudini dell'epoca, l'Ufficiale del tribunale li citò a comparire, nessuno escluso, in un dato giorno, davanti ai giudici.
Poiché, ovviamente, nessun sorcio obbedì a quel proclama, fu pronunciato un primo giudizio di condanna in contumacia, ma poco dopo qualcuno si accorse che in quel giudizio mancava una presenza indispensabile: quella del difensore degli imputati.
Così, per porre rimedio a quella grave “svista”, fu chiamato in gran fretta uno dei più rinomati penalisti della città, Bartolomée Chassenée , il quale, nel giudizio di appello che subito ottenne, mise in pratica una brillante linea difensiva: sostenne infatti che quando i sorci erano stati citati in giudizio si trovavano dispersi in molti villaggi e quindi una frettolosa citazione non aveva consentito loro di raggiungere in tempo l'aula.
Non essendosi presentati nemmeno alla seconda convocazione, escogitò un altro argomento: Il viaggio, oltre ad essere oltremodo difficoltoso, era anche pericoloso a causa dei pericoli a cui i topi erano esposti per colpa dei gatti che li aspettavano al varco.
Il grande avvocato ( coraggioso per l'epoca, visto che un'accusa di oltraggio alla Corte l'avrebbe privato della libertà e dei beni) sostenne anche che “Nulla esservi di più ingiusto delle proscrizioni generali che colpiscono in massa le famiglie, che fanno ricadere sui figli la pena dei delitti dei loro genitori, che colpiscono senza distinzione anche coloro che la tarda età rende incapaci di delinquere”.
Come commenta D'Addosio: “E tutte queste belle cose, a proposito dei sorci grigi!”.
Andò a finire che i sorci grigi furono tutti assolti.
Chasseneée, il quale già godeva di buona fama, diede prova di così grande capacità che la sua reputazione gli valse la scalata ai più alti gradi della magistratura e dal quel momento iniziò la sua fecondissima carriera: dapprima come avvocato del re e, infine, quale presidente del Parlamento di Provenza.
Da avvocato dei sorci a difensore del re, un bel salto, non c'è che dire...
Memore dell'origine della sua fortuna professionale e anche convinto che chiunque avesse diritto a una eccellente difesa in tribunale (perfino gli animali nocivi colpiti da scomunica) Chassenée continuò anche in seguito a difendere insetti e mammiferi nocivi, adducendo argomentazioni molto convincenti sia sul piano giuridico che scientifico. Potremmo dire che la sua libertà di pensiero abbia preceduto, nel considerare i soggetti di natura senza pregiudizi, l'Illuminismo... e questo, naturalmente, aveva poco a che vedere con i manuali di demonologia utilizzati all'epoca nei processi ecclesiastici!
Dobbiamo a questo la sua fine? Chissà. Sta di fatto che in una bella mattinata di marzo dell'anno 1541, arrivò a casa Chassenee un magnifico mazzo di fiori purpurei che l'avvocato, da appassionato studioso di giardini (un'altra delle passioni derivanti dalla sua infinita curiosità per il mondo naturale ), apprezzò molto e annusò, tuffandovi il viso più e più volte. Ne assaggiò anche l'apice una foglia, per capire di che pianta si trattasse, non essendo una pianta in uso all'epoca, se non nella tradizione popolare (nelle zone rurali era utilizzata in piccolissime dosi come cura dell'idropisia). Se non che, ormai sessantenne e cardiopatico, quest'ultima curiosità gli costò la vita.
La potentissima digitossina contenuta sia nei pistilli che nelle foglie, gli causò uno scompenso cardiaco congestizio che non gli lasciò scampo. La stessa sostanza, il glicoside lanatoside, assunta i piccolissime dosi, è utilizzata tutt'oggi dalla moderna farmacopea nella cura dell'insufficienza cardiaca, ma con estrema cautela nelle modalità di assunzione, vista la potenza venefica della digitale.
Per inciso, anche Cangrande della Scala, signore di Verona, fu avvelenato nel 1329 con la digitalis purpurea.
Sia questo nobiluomo che il nostro ingegnoso giurista Bartholomée Chassenée avevano certo dei nemici. Nel caso del grande avvocato di Autun, tra i potenziali assassini, possiamo escludere solamente i sorci.
Autore: Gloria Canestrini
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