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No tampone, no cure

il caso dei genitori denunciati per mancato tampone al figlio

Probabilmente vi sarà capito di leggere la notizia del bambino, malato oncologico, che doveva essere trasferito da un ospedale all’altro. Trasferimento considerato urgente e necessario per le condizioni critiche del piccolo paziente: la sua vita era a rischio e solo nel secondo ospedale avrebbero potuto somministragli le cure che potevano salvarlo.
L’ostacolo, richiamato da quasi tutti i nostri mezzi di informazione, era dovuto in questo caso ai genitori, cattivi no-vax, che si sono opposti a che il bambino venisse sottoposto a tampone orofaringeo per verificare l’eventuale positività al covid. Il secondo ospedale ha infatti in cura altri bambini immunodepressi, ed era pertanto richiesta questa precauzione.
Non so a voi, ma a me questa vicenda surreale fa sorgere qualche domanda, che provo a sottoporvi.
Prima di tutto: se il tampone è così affidabile da condizionare il trasferimento di un bambino in un reparto pieno di altri bambini immunodepressi, com'è che lo stesso tampone, ripetuto ogni 48 ore, non era ritenuto sufficiente per consentire a sanitari e personale scolastico di lavorare?
In secondo luogo: se il tampone è così innocuo come riportano ora i giornali, perché un ex ministro (Brunetta) lo descriveva, ai tempi dell’introduzione del grenpass, in termini di costo psichico ("farsi infilare fino al cervello il cotton fioc lungo")? Un bambino in quelle condizioni non ne sta già passando abbastanza?
Terzo: se la questione è relativa alle possibili infezioni che il bambino può portare nell'altro reparto (in cui, appunto, si trovano già molti altri bambini immunodepressi) perché limitarsi a verificare la negatività al covid? E se avesse avuto l'influenza? O anche il semplice raffreddore? Una delle mille infezioni batteriche e virali che girano negli ospedali? Non sarebbe stata la stessa cosa? Quelle era autorizzato a portarsele dietro?
Quarto: i pazienti con importanti deficit immunitari non dovrebbero rimanere isolati a prescindere, indipendentemente dall'esito di eventuali tamponi? Cos'è, li mettono tutti nella stessa stanza e "speriamo in bene"?
Per ultima la domanda forse più importante: cosa sarebbe successo nel caso in cui il tampone avesse dato esito positivo? Ci vogliamo augurare che non avrebbero vietato il trasferimento, condannando in questo modo il bambino a morte certa, ma che avrebbero proceduto utilizzando un protocollo di trasferimento differente. Ora, vista la situazione che si era creata, non sarebbe stato opportuno, da parte delle autorità sanitarie, attivare subito il secondo protocollo, senza perdere ore preziose con il teatrino del tampone e dell'accusa di omicidio ai genitori?

E comunque bisogna tener conto di quello che i genitori hanno dichiarato a seguito del can-can mediatico: "Non siamo no-vax. Vogliamo solo che nostro figlio sia curato. Una eventuale positività lo avrebbe sottratto alle cure di cui ha bisogno".


Autore: Manuel D'Elia

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