Arte, Cultura & Spettacoli

Jannis Kounellis, la mia idea di progresso

''Penso che l’errore sia di prenderlo troppo sul serio''

(Corona Perer - agosto 2024) - ''Io penso che l’errore sia di prendere troppo sul serio il progresso. Il problema sta nella nostra ipocrisia, nei nostri interessi''. Jannis Kounellis (Pireo 1936–Roma 2017), maestro dell'arte povera, artista intenso e di grande teatralità, anticonformista e rivoluzionario, nel suo cuore portava il grande passato. Quello di Masaccio e Caravaggio.

Capita ogni tanto - specie nei tempi utilissimi dedicati all'otium - di sfogliare uno di quei cataloghi d'arte che hanno il potere di restituirti come potrebbe fare un'onda del mare - pezzi smarriti o ritagli di vita.
Mi è capitato in questi giorni di tornare sul volto intelligente e intenso di Jannis Kounellis. Un volto greco, pensonso e pensante su una sigaretta sempre accesa.
I greci fumano come i turchi, ma sono greci.

 

A Trieste dove lo avevamo incontrato nel 2013 raccontò la drammaturgia del mare  in una mostra intrisa di spirito greco, quella Grecia che al tempo si dibatteva nei lacci mortali della Troika.

Intervistato poco prima di morire sulla società guardata con gli occhi di un rivoluzionario sia nell'arte che nella vita, mise in luce le contraddizioni di una visione consumistica del vivere.

''...La gente avverte certe necessità solo perché indotta. Non si può chiedere a un abitante dell’Amazzonia di essere come un cittadino di New York che gioca in borsa - disse - è la nostra violenza a produrre questi effetti.  E la globalizzazione è lo strumento estremo di tale pratica. Rende tutti uguali: apparentemente, però. E, in fin dei conti, è una bolla di sapone''.

Nato in Grecia nel 1936, è morto nel febbraio 2017 ad 81 anni. A 20 anni si era trasferito a Roma per studiare con Toti Sialoja. Nel corso della sua ricerca artistica Kounellis ha sviluppato un rapporto tragico e personale con la cultura e la storia. Rappresenterà infine il passato con una raccolta incompleta di frammenti di statue classiche.

La sua ricerca, iniziata dal quadro nudo e puro, aveva sfondato i limiti della pittura ed era sfociata presto nel rifiuto dei mezzi tradizionali. Ha contribuito al rinnovamento dell'arte negli anni Sessanta con il coinvolgimento del pubblico, fondamentale per completare l'opera d'arte. I primi lavori dell’artista trattavano il linguaggio urbano: scritte e cartelli reali delle strade di Roma. Dal 1964 in poi Kounellis affrontò temi tratti dalla natura, dai tramonti alle rose. Successivamente, l'artista trasferì lettere, frecce e numeri neri su tele bianche, carta o altre superfici, in una decostruzione del linguaggio che esprimeva una frammentazione del reale.

Nel 1967 l’indagine di Kounellis divenne più radicale, abbracciando elementi concreti e naturali tra cui uccelli, terra, cactus, lana, cotone e fuoco.Per rappresentare il conflitto ideale tra cultura e natura e la relazione tra pubblico e opera, arriva alla performance e all'uso di materiali organici e inorganici: dal ferro al legno, dalla iuta al carbone fino agli animali vivi come i cavalli.

Kounellis è dunque passato da un linguaggio scritto e pittorico ad uno fisico e ambientale. L'utilizzo di entità organiche e inorganiche trasformò la sua pratica in esperienza corporea, concepita come trasmissione sensoriale (esempio: l'uso di caffè e grappa per coinvolgere l'olfatto). Ha esplorato anche la dimensione sonora attraverso la quale un dipinto viene tradotto in spartiti da suonare o ballare (Kounellis cominciò a cantare le sue lettere su tela già neil 1960)  e nel 1970 l'artista incluse la presenza di un musicista o di una ballerina.

L'eredità greco-romana venne esplorata attraverso la maschera, come nell'installazione del 1973: una cornice di legno su cui sono posti i calchi in gesso dei volti. La porta è un altro simbolo dell’insofferenza dell’artista verso le dinamiche del suo presente. I passaggi tra le stanze sono spesso chiusi con pietre, legno, macchine da cucire e tondini di ferro, rendendo inaccessibili alcuni spazi per enfatizzarne la dimensione sconosciuta, metafisica e surreale.

Ricordo un'indimenticabile installazione vista e recensita a Trieste ai Magazzini del Sale nel 2013. C'era dentro la Grecia e la passione: era la drammaturgia del mare. Ai Magazzini del Sale, ex-Pescheria liberty, l'artista portò la drammaturgia del mare, immaginando pietre che - come lacrime pesanti come un sasso -  scendevano dal cielo e si posavano sulle onde. Erano come i grani di un immenso rosario, appesantiti dal dolore di chi assiste muto e silenzioso al dramma del mare.  Le pietre annodate alle tipiche corde dei marinai, erano al tempo stesso pesanti e leggiadre. Affondavano e sollevavano.

Kounellis le fece calare - come fossero stelle del cielo - su un enorme disfatta:  relitti di barche allineate e smembrate dalla furia del mare. E sembrava che il loro giacere non avvenisse su un arenile o un pontile, ma su un vero e proprio letto di morte al quale assistevano, mute e veglianti, delle sedie vuote ma vestite a lutto.

Quelle lacrime-stelle sembravano salite proprio dagli astanti-assenti: non c'erano (ed hanno infatti lasciato solo la loro veste da lutto), ma era restato tutto il loto dolore, raffigurato dai mantelli neri come ''presenza viva e orante''.

Kounellis, stava parlando anche della sua storia. Figlio di un ingegnere navale, a Trieste era arrivato da bambino durante un viaggio col padre. Per quella città legata all'infanzia penso ad un'opera coerente con il suo agire artistico, che fosse forte ed evocativa e desse forma al pathos e al dramma, tipicamente greco, che riguarda l'uomo e la sua storia. Per l'artista la mostra era qualcosa di più: un tornare sui propri passi di bambino e a quel mondo al quale è sempre rimasto legato: quello dei naviganti e delle loro inevitabili tragedie. Una storia di mare coraggio e operosità commovente che sembrava dire qualcosa anche del dramma della nazione greca vessata dalla Troika proprio in quegli anni.

"Kounellis Trieste" curata da Davide Serchioni e Marco Lorenzetti, aveva ricevuto dal luogo una sua magica sacralità. Il salone degli Incanti, un tempo pescheria cittadina, con la sua conformazione a navate ed il suo soffitto a volte, era infatti del tutto simile a una basilica in riva al mare. L'ex-pescheria dell'impero austro-ungarico - lo raccontò lui stesso all'affollata inaugurazione alla quale avevamo partecipato nel settembre 2013 - era per lui il luogo ideale per ospitare l'epica vicenda di tanti uomini posti di fronte all'immensità del mare a cui si legava il  lavoro, il presente e il futuro, il sostentamento della famiglia ed anche il passato nel ricordo dei propri morti. Quella messa in scena era una orazione funebre.

Una prima retrospettiva a due anni dalla morte si tenne grazie alla Fondazione Prada nel 2019, curata da Germano Celant; ''Jannis Kounellis'' fu realizzata in collaborazione con l'Archivio Kounellis, riunendo più di 70 opere dal 1958 al 2016, provenienti da musei italiani e internazionali, provenienti da importanti collezioni private sia in Italia che all'estero. La mostra esplorava la storia artistica ed espositiva di Jannis Kounellis. Fu l'occasione ideale per capire l'evoluzione della sua pratica artistica.

Il Museo del Novecento, a Firenze, ha di recente proposto (15 marzo - 9 giugno 2024) una mostra dedicata ai disegni di Jannis Kounellis, eseguiti su carta, per lo più a china, matita, carboncino, tra gli anni Settanta e Ottanta.

Firenze, Bari, Matera, Trieste, erano città che Kounellis amava. Matera in modo assai particolare per quel patos che racchiudevano i sassi. Lui la visitò molto tempo prima che partisse la riscoperta e la rinascita.
 

 

Sempre attratto dalla teatralità del vivere, dal popolo, due anni dopo Trieste, nel 2015, partecipò al monumentale falò della Focàra, a  Novoli (Lecce), dove ogni anno viene acceso in onore di Sant’ Antonio Abate, patrono della città del Salento. La "notte del fuoco" è  un affascinante rito tra sacro e profano che risale all'epoca bizantina che vede nel rogo la purificazione e la rinascita. Kounellis ne fu inevitabilmente affascinato.

"C'è il fuoco punitivo dell'inferno - disse in quell'occasione l'artista - e c'è il rito della purificazione. Quello di Novoli è popolare, segno di unità e partecipazione, E' un rituale quasi teatrale e una vittoria perché tutto rinasce, compresa la linfa vitale che si rigenera".

La sua opera per l'occasione consisteva in una grande croce di ferro inserita dentro la catasta destinata a restare come simbolo di pace.
Il greco aveva ancora una volta lasciato il suo segno.

(Corona Perer)
 


Autore: Corona Perer

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