
La difesa dell'erba ...cattiva
Contribuiscono in realtà all'equilibrio dell'ecosistema - di Gloria Canestrini
Gloria Canestrini, aprile 2025 - La difesa dell'erba...cattiva. Diversi articoli apparsi negli ultimi tempi sulle riviste di costume, di architettura e di giardinaggio trattano delle erbe “cattive”, ossia quelle che un tempo venivano definite infestanti: oggi invece molti progettisti di giardini, sia pubblici che privati, tendono a rivalutare le erbe spontanee, anche per ragioni di irrigazione e di clima mutato. Insomma, i tempi cambiano, con grande sollievo di chi apprezza le cosiddette malerbe, che non richiedono manutenzione e particolare attenzioni, pur decorando l'ambiente e contribuendo all'equilibrio dell'ecosistema.
Una di queste piante un tempo dimenticate e oggi ritornate in auge è l'ipomea learii, la campanula blu viola che fiorisce l'estate e che cresce a dismisura sui muri, a volte sulle chiome degli alberi.
Se trova l'ambiente giusto e nessuno si incaponisce a estirparla, l'ipomea cresce velocissima (parecchi metri in pochi mesi). E' molto semplice da riprodurre, piantando i grossi semi raccolti a fine estate o mediante margotta, ossia piegando un tralcio e infilandolo nella terra dove era stato piegato.
Certo, come ogni “pianta infestante”, l'ipomea fa il suo mestiere, cioè quello di occupare ogni spazio utile, e quindi va tenuta a bada...
Felice di essere stata prescelta da questo gioioso rampicante spontaneo, la scorsa estate ho lasciato che prosperasse nei grandi vasi degli olivi, ma ben presto ho dovuto liberarli dall'assalto, districando l'ipomea e adagiandone i getti alla base dei tronchi. Non solo: dopo un'assenza di qualche giorno ho dovuto fare altrettanto con rastrelli e attrezzi da giardiingaggio che avevo lasciato accanto ai vasi medesimi!
illustrazione dell'autrice, Gloria Canestrini
Forse per questo, nonostante la sua avvenenza, è difficile trovarla in commercio, così come il nasturzio, detto anche “cappuccina”, un rampicante perenne di grande vigore. I suoi grandi fiori arancio-giallo ( ma anche rossi o screziati) riempiono gli occhi e il cuore: crescono ovunque, propagandosi e formando lunghi festoni. Anche questa pianta è commestibile, come spesso lo sono le cosiddette “malerbe”, preziose fonti di principi curativi e medicinali. Come non ricordare a tale proposito anche l'ortica? Utilissima nel macerato a difesa dagli insetti nocivi per le piante coltivate, e gustosa anche in cucina, aggiunta a frittate e risotti. Il suo fiorellino discreto e candido è perfetto per ravvivare le prode in campagna e, se vogliamo seguire la tendenza ora di moda, anche i bordi dei nostri giardini. Magari all'ombra, dove ben poche altre specie sarebbero liete di alloggiare.
Vorrei qui spezzare una lancia anche in favore della clematis vitalba, comunemente nota come Vitalba, una pianta appartenente alla famiglia delle ranuncolacee, molto diffusa in Europa, sino a 1300 metri di quota.
La Vitalba prospera ovunque: nei terreni incolti, nei boschi di latifoglie, lungo i sentieri e...addosso alle siepi.
A buon diritto si è guadagnata infatti un posto d'onore tra le cosiddette “infestanti”, perché ama arrampicare su qualsiasi supporto trovi a portata di mano ( o di getto), che siano supporti inanimati come reti e recinzioni, oppure vivi e vegeti, come altre piante. Spesso vissuta con terrore giardiniero, invece è innocua e non le soffoca, tanto che in Inghilterra i suoi lunghi tralci fioriti di bianco, che in autunno producono i loro ascheneti ( sono degli aggregati di piccoli ascheni ovoidi, raggruppati all'estremità del peduncolo fiorale), vere decorazioni vegetali per ogni siepe. Piumose, argentee e persistenti queste decorazioni spontanee sono un piccolo miracolo estetico della natura.
In primavera i giovani getti di vitalba vanno raccolti alla sommità e sono molto gustosi, una volta lessati a vapore e conditi con olio e sale. Come le foglie, i fiori e le radici di tarassaco, anch'essi commestibili e utilissimi per depurare il fegato: anche riguardo a questa pianta spontanea e “infestante”, molti giardinieri si sono ravveduti, apprezzandone il giallo dei fiori che illuminano il prato.
Una nota gustosa a proposito delle erbe spontanee l'ha scritta Ippolito Pizzetti, architetto paesaggista e grande conoscitore del giardino come strumento per intendere la natura. All'uscita di un manuale tedesco intitolato “Che pianta infestante è questa?”, osservò che tutte le “erbacce” figurate e descritte nel libro erano pressapoco tutte le nostre piante spontanee!
Per di più, scopo del manuale era quello di identificarle e suggerire i modi più efficaci per distruggerle.
Tra queste, erano compresi il Rosolaccio, la Cicoria, la Viola, l'Anagallide e moltissime altre deliziose specie.
“E' vero”, scriveva Pizzetti “ queste si diffondono con facilità straordinaria e, per quanto ne so io, non hanno mai nuociuto a un campo di grano, e sfido chiunque a provarmi il contrario. Anzi: gli anzi sono moltissimi”.
In sostanza, come anteporre la conoscenza delle piante in quanto malerbe alla conoscenza botanica delle piante stesse? E senza tenere presente il loro contributo al nutrimento di bruchi, api e farfalle? Il loro ruolo nel contesto ambientale in cui tendono a crescere?
Posto che le piante infestanti sono tutte quelle che non sono state seminate di proposito, ma che si sono spontaneamente insediate e moltiplicate in abbondanza tra i filari, nei solchi, nei recinti, sui margini dei campi, nei prati, sui terreni incolti, lungo le siepi i muri e le cancellate, Pizzetti si chiede: ammesso che si moltiplicassero in numero spropositato, perché distruggerle tutte, cancellarle dalla terra ( come perorato dal severo manuale tedesco), eliminandole in modo che non spargano semi?
E osserva, in conclusione:” Così, grazie a questi sistemi radicali, certe piante, se non scomparse, si sono talmente diradate che in alcune zone i campi di grano hanno perso le loro macchie colorate di papavero e cicoria, e se vorremo vedere ancora le messi rosseggianti di papaveri e orlate dal celeste della cicoria dovremo andare a cercarli al museo, nei quadri dei pittori d'epoca”.
Non ci resta quindi che ammirare ( si fa per dire) la desertificazione dei fossi e delle prode, mentre con le ortiche, le euforbie e tutte le malerbe fellone, se ne vanno anche gli splendidi bruchi e le farfalle?
Speriamo di no: in molti Comuni italiani si sta redigendo l'elenco dei diserbanti e dei fitofarmaci non consentiti in prossimità dei centri abitati, stabilendo esatte distanze sia dai campi coltivati che dalle case.
Anche bruchi, api, farfalle, ramarri, rospi e ricci ringraziano sentitamente.
Gloria Canestrini, aprile 2025
Autore: Gloria Canestrini
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