Le lettere di Riccardo Zandonai
Un talento puro, indifferente alla politica, interessato unicamente alla sua arte
Firmava sottolineandosi. Riccardo Zandonai aveva una grafia bella, lineare, comprensibile. Mai prolisso o farraginoso come la prosa ottocentesca. Grammaticamente corretto. Incline allo spleen, ma anche meno austero di quanto si pensa. Allegro, a tratti fanciullesco persino cameratesco.
Un talento puro, indifferente alla politica, interessato unicamente alla sua arte.
Generoso, affabile nei modi, per nulla mondano. Tanto meno donnaiolo. “Omaggi alla sua signora” è l’unico riferimento frequente che troviamo alle donne, e sempre in chiusura di lettera. Quasi un mondo per soli uomini quello del compositore Zandonai, in un’epoca di transizione.
L’artista vive e opera in un momento in cui sono finite molte certezze e bisogna reinventarsi. Il pubblico non è allineato alla sensibilità dell’artista, sta come suo solito un po’ indietro e così il dilemma del musicista è quello tipico: seguire gli ideali e non avere pubblico, o accontentarlo?
E’ lo Zandonai segreto, quello che appare dal corpus di lettere rese pubbliche in occasione dei 60 anni dalla morte. Si tratta di oltre 10.000 lettere catalogate e analizzate in tre anni di lavoro da un team di 15 persone tra esperti e studiosi, coordinati dal musicologo Diego Cescotti, docente al conservatorio di Storia della Musica che di queste lettere sentì parlare già negli anni ’60 senza sapere che un giorno le avrebbe studiate. “Mi era rimasto dentro il ricordo di qualcosa di importante” racconta. E in effetti sono le lettere a permettere la lettura dell’umanità di un uomo, la sensibilità di un artista.
Le lettere del compositore Riccardo Zandonai dicono moltissimo in qualche caso costringono anche a rivedere alcune visioni su Zandonai. Sulla politica ad esempio. La lettura delle missive fa emergere in realtà una sostanziale indifferenza ai giochi di potere.
Quando scrive non parla mai apertamente di politica e anche quando arriva sull’uscio, il musicista esce immediatamente con frasi del tipo ma “ne parleremo a voce”. Perché più facile o perché pericoloso? Questo non lo sappiamo. Di certo dal carteggio con Rossato, autore dei libretti e Nicola D’Atri l’intellettuale che è anche uomo d’affari, si parla di arte.
Gli interessava solo la musica, mentre il suo interesse politico è tutto da definire. Mussolini come uomo forse gli piaceva, ma dopo la caduta del Fascismo in una lettera a Nicola D’Atri, che era un liberale, parlando del “Trio Serenata” scrive “…consolatevi perché è stato scritto nei giorni in cui il famigerato potere mussoliniano crollava”. Consulente, confidente, manager. “Don Nicolino”, lo chiamava Zandonai, per il quale l’uomo d’affari romano fu non solo l’amico ma un continuo interlocutore.
Fu lui a conservare una a una le lettere scambiate col maestro e alla sua morte (’55) volle che i suoi eredi le donassero al comune di Rovereto dove arrivarono nel ’58. Qui furono sottoposte ad un vincolo testamentario fino al 1969, quando, a 25 anni dalla morte del compositore e a 10 dalla donazione, furono trasferite dal museo civico alla Biblioteca e quindi raggruppate, catalogate, microfilmate. Un lavoro proseguito per circa un decennio negli anni ’80. Pochi anni venne disposta la trascrizione.
Un lavoro immane, ultimato nella primavera 2004, che ha imposto la fotocopiatura di tutto il materiale e quindi la lettura-trascrizione. Al tempo ne abbiamo parlato con il musicologo Diego Cescotti, docente al conservatorio di Storia della Musica qualche anno fa curatore del catalogo tematico delle opere del celebre compositore che in Giappone è ascolta e studiato più che in Italia
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L'INTERVISTA a Diego Cescotti - di Corona Perer
(editing 2004)
Il corpus di lettere rappresenta 20 anni di rapporti epistolari. Diecimila lettere tra Zandonai, D’Atri, Rossato (il librettista) e Clausetti (della casa Ricordi). Di queste tremila sono le lettere del maestro. Ma ci sono anche articoli,spartiti.
D. Che idea di musica ne esce?
R. Zandonai pensava la musica come poetica. La voleva di contenuto umano, che parlasse al cuore dell’uomo. La sua definizione va colta tra le righe. Non c’è niente di teorico
D. Che approccio aveva?
R: Un approccio severo. Come ogni uomo di animo romantico, c’è una compenetrazione di arte e vita. La sua è una visione severa: arte come impegno. Era per palati fini.
D. In Zandonai prevale l’avanguardia o la necessità di assecondare il pubblico?
R. Direi un onesto compromesso. Lui non ha mai perso di vista il pubblico, ma non amava ripetere vecchie formule, non fece mai nulla con spirito mercantile, non venne mai meno alla sua arte e in questo gran rigore leggiamo anche il suo carattere roccioso
D. Si è detto che queste lettere correggono la visione del suo carattere. In che modo?
R. I tratti malinconici ci sono: per esempio la propensione a isolarsi nella natura, sfuggire l’uomo. Casa sua era sempre piena di ospiti. Ma era anche un uomo di compagnia, allegro. Tuttavia mai mondano o incline ai vizi del mondo dello spettacolo.
D. Amante della famiglia, anche?
R. Certo. L’incontro con la soprano Tarquinia Tarquini era stata una fiammata. Con lei e la figlia era felice
D. Che rapporto aveva con i contemporanei e i rivali?
R. Puccini non è un rivale. Sì, la Tosca non gli piaceva ma Zandonai era molto giovane quando uscì. La vedeva come un prodotto bottegaio. E’ certo che abbia incontrato Richard Strauss e che alla radio ascoltasse molto Starvinsky, Shoenberg, Ravel, Debussy.
D. Ma I suoi concorrenti più diretti chi erano?
R. Rossellini, Respighi, Pizzetti, Pizzetti, Casella, Malipiero. Degli ultimi due, più modernisti e aperti all’Europa, odiava cordialmente la musica. Erano totalmente estranei al suo mondo, tutt’altra linea musicale. Zandonai con Rossellini e anche Respighi erano invece più tradizionalisti e romantici. Salva solo Pizzetti, ma come figura (nobile) ma non come musicista (per lui noioso). Ma nessuno di loro ha sfondato davvero.
D. Quale è il nucleo forte delle lettere?
R. Quello tra Zandonai, D’Atri e Rossato. Siamo tra gli anni ’20 e gli anni ’40. Lettere che meriterebbero di essere montate nella loro cronologia.
D Il compositore, il manager, il librettista. Si può dire che lavorassero per lettera?
R. Sì, non avremmo questo epistolario se i tre stavano nella stessa città. Zandonai invece era a Pesaro, D’Atri a Roma e Rossato a Milano
D. Che spirito c’era tra i tre?
R. Collaborativo. Piena circolarità di idee e disponibilità a rivederle
D. C’è un asse di forza?
R. Senza dubbio tra i due artisti ma D’atri è il loro bilancino. Era più anziano, più navigato, intellettualmente attendibile. Di lui si fidavano. Perciò era determinante. C’è una sua lettera di 24 pagine nella quale illustra al maestro le sue perplessità sulla Giulietta e Romeo. Erano i famosi pallini.
D. E Zandonai come affrontò quelle critiche?
R. Era a Palermo dive dirigeva la Francesca, la lettera lo scombina. Ha paura di disamorarsi e lo prega di lasciarlo lavorare in pace senza anteporre la ragione all’istinto, motore dell’ispirazione. Si sentiva frenato.
D. Poi chi decideva?
R. Zandonai era uomo di pochi dubbi musicali, fa autocritica, ma si fida molto del suo istinto avvalendosi anche dei contributi degli altri due.
D. Uomo di gran temperamento è sempre stato detto…
R. Io direi un flemmatico. Aveva una sorta di fatalismo nei confronti del suo lavoro, faceva in qualche modo l’arabo dominando la realtà. Sì qualche scatto sicuramente c’era. Lo troviamo anche nelle lettere dove ci sono ripetuti punti esclamativi. Ma la sua prosa è leggibilissima. Direi che ha un ritmo musicale, ha respiro, era moderno anche quando comunicava.
D. La malattia incise sul suo umore?
R. Si era incline alla malinconia. Soffriva di fegato e quindi era un bilioso che si dice sia premessa fisica allo “spleen”.
D.: E la grammatica?
R. Direi buona con qualche ricorso al dialettismo. Per esempio “Vedo che ho imbroccato, sta venendo bene”.
D. Da un punto di vista critico cosa emerge di nuovo?
R. Vanno riviste e rivalutate le figure di D’Atri e Rossato.
D.: E cosa di interessante?
R.: La visione d’insieme sulle richieste dell’epoca a un’artista. L’imperativo era reinventarsi
Le lettere, dunque, come strumento primo per capire l’anima e il genio di Zandonai. Al dubbio se c’erano modi diversi per ricordarlo oggi (per esempio l’allestimento di un’opera) Cescotti risponde che la città di Rovereto “non ha mai fatto tanto per Zandonai come in questi ultimi 8/9 anni”. Quanto a quella scrittura che oggi ci permette di ricostruire l’uomo e l’artista, va detto che il maestro la mantenne bella, chiara, leggibile e diretta fino alla morte. Fino a quell’ultimo biglietto nel quale la sera prima di essere operato al fegato dava le ultime indicazioni alla moglie e alla figlia in caso di esito infausto dell’intervento. “Vorrò essere sepolto al cimitero di sacco” scrisse. E lì riposa.
Autore: Corona Perer
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