Il vero politico è un uomo interiore
Spiritualità e Politica di Luciano Manicardi (Bose)
''Il vero politico è un uomo interiore''. Luciano Manicardi lo scrive a chiare lettere in "Spiritualità e Politica" (Edizioni Qiqajon).
Bisogna essere pronti 'dentro' per 'darsi' alla comunità. ''Per una società solida servono individui risolti'' Occorre mettere mattoni solidi di pensiero, impegno, preparazione umana per fare politica vera.
Essere pronti 'dentro' per 'darsi' alla comunità, rimanda alla dimensione spirituale di chi "fa" politica.
Luciano Manicardi biblista, già priore di Bose dal 2017 (dove aveva raccolto la pesantissima eredità di Enzo Bianchi) raccoglie in un piccolo e preziosissimo saggio suggestioni importanti a partire da Max Weber il quale ebbe a dire della politica “...chi è interiormente debole si tenga lontano da questa carriera...”
Parte da una domanda del gesuita Paul Valadier, dottore in teologia e in filosofia : “...e se la vita spirituale fosse una delle condizioni fondamentali di un’intensa vita sociale e politica?”.
Manicardi tenta una risposta affermando che una politica mite, giusta, sensata (in una parola... umana) necessita di uno sforzo fondamentale: l'ascolto. Lo si esercita al meglio se il politico ha una sua dimensione spirituale.
Da monaco e biblista, spiega cosa sia (e come ci si possa dire) “comunità”, analizza la dimensione del bene comune ed il valore della parola che nel politico si esprime di sovente di promessa ed afferma che la qualità della politica è legata alla qualità umana di chi si impegna in essa, alla sua capacità di governare se stesso: come i profeti biblici che, spesso in situazioni storiche di tenebra, hanno saputo creare futuro e dare speranza.
Manicardi spiega l'importanza di una vita interiore come pre-requisito per donarsi agli altri e affrontare le sfide della politica oggi, indicando nella immaginazione, nella creatività e nel coraggio le tre facoltà per sviluppare per costruire una interiorità e tre vie che un buon politico deve percorrere, guardandosi bene dalla tentazione della vanità.
“La straordinaria forza sprigionata da alcuni uomini politici è connessa alla loro profondità spirituale" scrive il Priore, che cita solo Gandhi (ma en-passant) e lo svedese Dag Hammarskjöld segretario delle Nazioni Unite che cambiò per sempre l'organizzazione, morto cinquant'anni fa in un incidente sospetto il quale ebbe a dire: “Le domande che sono alla base di una vita spirituale non sono affare privato, ma possono e anzi debbono alimentare un impegno pubblico”.
Che legame ci può essere allora tra politica e spiritualità? Attraverso un percorso che tocca Simone Weil, Max Weber, Hanna Arendt e Blaise Pascal, Manicardi spiega che ogni azione, ogni impegno sociale e politico trovano il loro fondamento nell’interiorità, nel profondo di noi stessi. Capire se stessi permette quindi di andare verso gli altri.
Spiritualità e politica possono quindi camminare insieme. Anzi, debbono. Il che impone avere percezione del limite, ma anche dell'immenso potere della parola. E poi la dimensione del coraggio che – scrive Manicardi - “...si nutre di orizzonti vasti ed estesi” ed agisce “malgrado”, cioè nonostante i pericoli e le difficoltà dell'azione. “Il coraggio è proprio della persona che sa decidere. Anzi il coraggio stesso consiste in una decisione ossia vince le resistenze che indurrebbero alla inazione”. Non occorre essere eroi, ma di fatto lo si diventa. Perché il coraggio si vive nella normalità che è anzitutto il coraggio civico di fare il proprio dovere.
E' la dimensione dell'homo civicus. E spiega - in pagine ispirate che dovrebbero essere lezione per chiunque amministra - che il mondo tecnologico tende ad escludere sia il coraggio (inibito dentro procedimenti freddi e tecnici) che la stessa immaginazione fondamentale a prefigurare e creare la realtà. Anzi l'immaginazione è addirittura sovversiva, per questo il mercato crea prodotti ancor prima che possiamo immaginarli o desiderarli. E' anche in questo modo che si addomestica la libertà di immaginare: tutto è pronto all'uso non occorre nemmeno pensarlo. L'homo emptor (compratore) non immagina: usa.
Particolare importanza viene data alla parola in politica. Citando Hanna Arendt (“la polis è il corpo politico più d'ogni altro basato sulla parola...”), Manicardi pone la parola al cuore di un processo che da “io” diventa “noi”. Citando Hans Georg Gadamer ricorda quanto ebbe a dire sulla reponabiltà della parole.
''La parola pronunciata non è più mia, ma è abbandonata all'udire, appartiene alla più grande responsabilità del parlare il fatto che la parola pronunciata non possa più essere richiamata indietro. La parola pronunciata appartiene a chi la ode''.
Serve dunque un'etica della parola. Da questa via Manicardi 'sdogana' la parola della promessa che impegna chi la esprime. E la politica è eenzialmente “promessa elettorale”.
“La promessa non è arrogante, è volontà umile. Nel promettere io so di affrontare l'incognito in me e negli altri. E mi dispongo a pagarne il prezzo” scrive Manicardi che riconosce nella promessa sia potenza che estrema delicatezza, tanto sul piano spirituale che politico. “In essa è implicata la responsabilità verso se stessi, verso gli altri, verso il futuro e verso la parola pronunciata al cui servizio, colui che promette, si pone”.
Magistrale l'analisi di ciò che è “comunità” termine che deriva (e contiene) il sostantivo latino “munus”: cioè il dono che si fa, non quello che si riceve. Ebbene la comunità è l'insieme di persone donanti, l'uni agli altri, radunati attorno a beni comuni. Prima di affrontare la lezione del limite (la morte) che porta ogni individuo o società a creare per sopravvivere a sé, Manicardi ci dona una definizione illuminante. “L'umanità conosce il desiderio di comunità perchè essa è una comunità di desiderio. Perché è il desiderio ciò che accumuna gli umani”.
E a proposito di qualità, vi invitiamo ad ascoltare questa
chicca del 1996 dell'indimenticato Giorgio Gaber > qui
Autore: Corona Perer
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