Attualità, Persone & Idee

Sos povertà educativa

Marco Rossi Doria: ''emergenza sociale''

Marco Rossi Doria l'allarme lo ha lanciato da tempo. ''C'è una nuova emergenza sociale che si è acuita con la pandemia''.

I dati dicono che la povertà minorile si è aggravata, soprattutto nel Sud. Lo ha certificato anche il Rapporto sul Benessere Equo e Sostenibile in Italia dove si evidenzia nella fascia 14-19 anni un peggiornamento nel livello di istruzione, di formazione e di competenze acquisite dai giovani,  dei livelli di partecipazione civica e sociale.

Esperto di politiche dell'istruzione, insegnante in pensione, da sempre sensibile alle politiche sociali e all'accesso al sapere, predica da tempo il potere del territorio nell'essere educante e allo stesso tempo potenzialmente diseducativo. La società deve diventare luogo di educazione e molti bambini vivono nel disagio sociale.

C'è un dato impressionante: il 13,5% del totale dei bambini e ragazzi presenti in Italia è in povertà assoluta. Una popolazione di 1 milione e 337 mila minori che non accede a servizi essenziali.

Con la crisi economico-finanziaria, la povertà infantile ha iniziato a crescere (prima di tale crisi, la quota di minori in povertà assoluta era pari a quella della popolazione complessiva cioè il 3,1%). Nel 2020, con la pandemia, lo scarto fra la povertà dei  minori (13,5%) e quella della popolazione complessiva (9,4%) ha superato i 4 punti percentuali.

La povertà materiale diventa condizione di povertà educativa, un mix dato dal contesto economico, sanitario, familiare e abitativo, della disponibilità o meno di spazi accessibili, dell’assenza di servizi di cura e tutela dell’infanzia: essa non è solo legata alle cattive condizioni economiche, ma è povertà di relazioni, isolamento, cattiva alimentazione e scarsa cura della salute, carenza di servizi, di opportunità educative e di apprendimento non formale.

La povertà educativa, insidiosa quanto e più di quella economica, priva bambini e adolescenti della possibilità di apprendere e sperimentare, scoprendo le proprie capacità, sviluppando le proprie competenze, coltivando i propri talenti ed allargando le proprie aspirazioni. Ed è uno status che investe anche la dimensione emotiva, pregiudicando socialità e capacità di relazionarsi con il mondo.

 

 

"La povertà educativa è strettamente connessa al contesto sociale, anche la crisi demografica gioca il suo ruolo : quanti sono i bambini oggi?" afferma Marco Rossi Doria. Le risposte a suo avviso devono essere diverse, in aree diverse. "Occorre aggregare le piccole comunità e creare occasioni per ricreare le comunità là dove si sono disgregate, nelle aree di degrado bisogna creare occasioni di socialità, specie nei quartieri marginali".

Serve quindi che sia la società a diventare luogo di educazione. Ma come può farlo se le emergenze danno luogo al degrado e a quella che ormai si chiama povertà educativa intesa come povertà di occasioni per crescere positivamente? La società dovrebbe diventare una comunità educante, l'habitat giusto perchè il bambino può crescere armoniosamente.

"La comunità educante non  è un organismo fisso, è quel luogo che risponde ai bisogni diversi e deve mettere al centro del suo agire il bene dei bambino : guarda con attenzione il loro sguardo, intercetta le loro difficoltà, azione che deve essere centrale". E' la scuola? "No, è anche la scuola" dice Marco Rossi Doria.

"Un bambino deve sentire ma scuola come un luogo proprio, ma non la sua casa. Un luogo della civis, e la  scuola dovrebbe essere il luogo della civiltà della coesione sociale, uno spazio tempo per stare insieme collettivamente. Per cui può ospitare tante cose, essere luogo di eventi, conferenze, dove anche  artigiani e professionisti parlano di quel  che fanno, oppure dove si creano gruppi di genitori, il luogo dove ospitare magari dei dibattiti per esempio sulla pace o sulla pandemia. E questo può accadere in una valle come in un quartiere marginale di una grande città. La scuola, dunque va vista come spazio sociale. Poi c'è il tempo della scuola con le sue materie, l'ora di matematica e di scienze o le discipline che insieme e trasversalmente si interfacciano sui grandi temi. Questo costruisce la comunità educante".

Quale deve essere il giusto approccio di una comunità educante? "I ragazzi non sono destinatari o beneficiari,  le attività devono vederli protagonisti della loro vita, non deve essere elargita una autonomia, ma devono essere messi in grado di esprimersi con  autonomia, di  partecipare alla gestione degli spazi, di essere  protagonisti di progetti di cittadinanza. E questo è fondamentale per creare una comunità educante".

''La comunità educante deve quindi diventare  un orizzonte, un processo da mantenere nel tempo''.

Tutto questo accade in un sistema che investe poco sull'istruzione: la quota di PIL investita in istruzione e formazione è ferma al 3,8% in Italia, contro una media dei nostri partner europei del 4,6% un delta calcolabile in miliardi di euro.

Secondo Rossi Doria le risorse non devono essere dirette solo sulle scuole.  Occorrerebbe investire in comunità educanti che si dedicano alla rimarginazione delle disuguaglianze. Per comunità educante si intende una realtà radicata in un territorio circoscritto, dove far crescere elementi di appartenenza identitaria e spirito di comunità. Può essere un rione di una grande periferia o una valle di una comunità montana dove si promuove l'adozione e l'uso di beni comuni come occasioni per creare comunità. Affetto e cura per ciò che è comune, nutrono le comunità educanti.

Per costruire comunità educanti occorre allineare Scuola, amministrazione locale, associazionismo e le famiglie, intese come nucleo di cittadini. Una bella sfida in tempi come questi.

La Scuola è fondamentale: costituisce il luogo delle regole comuni, offre una ritualità importante, dà accesso al sapere dell’umanità e permette di avere orizzonti più ampi. "A Scuola impari, puoi diventare altro da quello che pensavi di dover essere e, soprattutto, impari ad imparare” afferma Marco Rossi Doria.

Un comitato di esperti aveva cercato 10 anni fa una metodologia in grado di costruire un Indice della Povertà Educativa (IPE) costituita dalla presenza territoriale dei nidi, dove i bambini possano stare in un ambiente di socializzazione protetta e competente, la possibilità di usufruire di un tempo scuola pieno o prolungato la presenza di una mensa scolastica, l’esistenza di aule collegate a internet, la presenza di opportunità culturali e sportive.

E siccome si apprende per strada, in una biblioteca di quartiere, perché vai a teatro e al cinema, perché suoni uno strumento musicale, perché frequenti un luogo di aggregazione giovanile, servirebbero quartieri infrastrutturati da occasioni di apprendimento.

''Se ben organizzati cambiano la vita quanto una Scuola buona''. In realtà il ''minore'' povero nella maggior parte dei casi vive in quartieri dove non esistono questi elementi infrastrutturali.

Occorre partire dalla periferia.
(c.perer)



(cperer)


Autore: Corona Perer

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Commenti (0)