Delphos, la rivoluzione del '900
Mariano Fortuny inventore del plissé
Delphos, fu la rivoluzione del '900. Mariano Fortuny il suo inventore: padre del plissé potremmo dire.
La prima acquirente fu la marchesa Luisa Casati: acquistò un Delphos di seta cinese stampata e plissettata. Tra le clienti ci fu Eleonora Duse e Emma Grammatica prime testimonial di un abito da sogno per ogni donna. Le donne che indossano le creazioni Fortuny furono immortalate da grandi fotografi: Isadora Duncan da Edward Steichen, Selma Schubart dal fratello Afred Stieglitz, l'attrice Régine Flory da Albert Harlingue. Lo immortalano le più belle riviste di moda e arte del periodo, che narrano l'Art Nouveau, le arti applicate e l'arte totale.
"Venezia è stata New York prima di New York, Parigi prima di Parigi, è città fin dalle origini cosmopolita che costruisce la propria identità elaborando quelle altrui, muovendosi sapientemente fra passato, presente e futuro e fra oriente e occidente" spiegano dalla Fondazione Musei Civici di Venezia che nella collezione di Fortuny un autentico tesoro che documenta l'evoluzione della moda e una pagina di storia irripetibile.
L'abito fu la grande invenzione di Mariano Fortuny (1871-1949). L'abito Delphos nasce nel 1909: Mariano registra i brevetti sia del vestito ("Modello di abito da donna") che della plissettatura ("Tipo di tessuto ondulato a pieghe"). Ma l'invenzione va attribuita alla moglie Madame Henriette Brassart (cognome della madre).
Lui però resta il genio dell'impresa. A Venezia arriva dalla Spagna con una famiglia che aveva vissuto tra Roma e Parigi. E' figlio di artisti, il padre pittore di fama e collezionista sapiente, di mente aperta e spirito viaggiatore, muore giovane a 37 anni e lo lascia orfano a tre. Il figlio si nutre comunque, per trasmissione familiare, della sua arte e del suo sapere.
Dal 1890 Mariano Fortuny vive fra Venezia e Parigi, dove nel passaggio al nuovo secolo incontra Henriette che da lì in poi gli sarà sempre sodale e musa. Con lei nei primi anni del Novecento si trasferisce definitivamente a Venezia, e crea un atelier (per dargli una definizione davvero riduttiva) nel Palazzo Pesaro degli Orfei a San Beneto, dietro campo Sant'Angelo, costruendo la storia imprenditoriale, culturale, commerciale più innovativa a Venezia e non solo fra Otto e Novecento.
Mariano Fortuny ha un'anima fondamentalmente teatrale, autore di scenografie e costumi porta la messa in scena in tutte le arti che frequenta. Le sue fotografie sono teatrali, lo sono i suoi dipinti e le sue invenzioni illuminotecniche per il palcoscenico, i suoi abiti anche, lo è pure il palazzo, la dimora. frequentata assiduamente da artisti e intellettuali che lì si danno appuntamento, si ritrovano, acquistano, conversano, ammirano.
Il tintore alchimista come lo chiamò d'Annunzio era esempio di quella Venezia decadente ma ancora colma d'orgoglio per i propri tintori, tessitori, decoratori capaci di gradi innovazioni nel novero della tradizione, incrocio di conoscenze di chimiche, congegni meccanici e correnti stilistiche contemporanee.
Gli abiti Fortuny sono indossati da uomini e soprattutto donne di una comunità trasgressiva, raffinata, cosmopolita, intellettuale ma carnale, diafana e spirituale, da donne emancipate e artiste, moderne nella loro secca e metafisica sensualità, esse stesse parte attiva nel successo dell'abito, il Delphos non fu solo un modello innovativo nella forma, ma un modo nuovo e moderno di vestire le donne europee del XX secolo.
Nel Palazzo a San Beneto i Fortuny producono stoffe e sete, nel 1919 Mariano costruisce con Stucky la fabbrica che alla Giudecca produrrà cotoni stampati per arredamento, nel 1913 apre boutique a Parigi, Londra, poi New York. Mariano continua il suo lavoro nella scenografia e nell'illuminotecnica, deposita brevetti.
La fortuna dell'abito Delphos in diverse versioni ( con manica corta o lunga, in uno o due pezzi, con o senza cintura decorata, ma sempre con la preziosa plissettatura) domina il primo Novecento, Ne vengono realizzati molti esemplari, dal 1909 al 1949, l'abito resiste persino alla grande depressione. Nel 1929 c'è il crollo delle Borse, seguirano l'autarchia, la decadenza delle eccellenze italiane, un'altra guerra, l'ultimo atto della vita di Mariano Fortuny sarà la ripresa nel secondo dopoguerra della factory a Palazzo Fortuny.
Nel 1949 la produzione termina con la morte di Mariano. La sua Henriette occuperà il resto dei suoi anni, fino al 1965, per le donazioni delle opere della famiglia Fortuny alle collezioni di musei europei, soprattutto spagnoli, e per la catalogazione dell'archivio.
Un immenso tesoro che abita stabilmente a Venezia, città delle grandi meraviglie.
(c.perer)
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