Mauro Corona, confessioni di un malandrino
L'Homus Hertanus è diventato tuttologo. Invariata solo la sua infelicità
Il teatrino (spesso penoso) con Bianca Berlinguer lo ha reso un tuttologo ed il re del qualunquismo, delle battute da osteria ed ha certamente appannato il Corona dei tempi migliori, quello degli esordi. Allora era autentico. Era un alpinista, era uno scultore, e oltre a questo scriveva. Lo faceva da autodidatta, un talento naturale. C'era chi non credeva che i libri non fossero suoi, che sospettava fosse Magris a scriverli (o a correggerli).
Ma i successi e i soldi sono arrivati: un fenomeno letterario. Lui ha il merito di essere restato quel che era: un selvatico, mediamente infelice. Col tempo la sua rabbia è divenuta cronica. E se da lui ci si aspettasse quel minimo di eleganza intellettuale, quella sensibilità e quella capacità di ascolto (magari anche il coraggio di mettersi in discussione) beh... si è sbagliato porta.
Sono anni che "il" Corona crede che il mondo dovrebbe andare come lui pensa nelle sue ondivaghe posizione politiche: ora grillino, ora leghista. Gli han dato del reazionario (in)consapevole e c'è chi lo preferisce brutto, sporco e cattivo per non ammetterlo alla categoria degli intellettuali. Bianca Berlinguer lo esibisce nel suo programma proprio come una bestia selvatica per ragioni di share, che però non è prodotto dall'intelligenza erogata (lo si guarda semmai per vedere fin a che punto il brutto osa il peggio).
Di ogni etichetta lui se ne frega anche perché a mettergliela addosso son quelli che lui definisce "soloni" o "decisori del bello e del brutto" che lui amabilmente ricambierà con una bestemmia o un esplicito invito ad andare in quel posto. Le etichette per lui si son sprecate: scrittore anti-moderno, predicatore pop. Poi cade rovinosamente perchè lui ha sempre pronta una bella etichetta per chi tenta di ingabbiarlo in una definizione. Lui è l'in-catalogabile-catalogante.
In "Confessioni Ultime" (ed. Chiarelettere), Mauro Corona si era tolto qualche bel sassolino: verso qualche politico malamente governante o qualche donna malamente respinta. Verso gli editori, verso la critica e chi tiene in mano le redini dei salotti tv o dei premi letterari. Quel che scrive, mettendo nero su bianco pensieri e parole di un dialogo con Giorgio Fornoni, giornalista di Report, suona pesante e maledettamente vero.
Si è vero: leggendo il libro ci si trova di fronte a un personaggio irrisolto e scontento, arrabbiatoperenne, più preoccupato per gli amici persi che gli amori sciupati via. Ci si imbatte insomma in una persona in-felice, che ha avuto pessimi genitori, pessima infanziae pessime relazioni quando queste uscivano dallo stretto recinto dell'osteria del paese.
"Confessioni Ultime" è allora un libro libro-testamento? C'è la spinta che ebbero un Sant'Agostino o un Casanova? No. C'è il desiderio di raccontarsi senza filtri.
Corona di sé dice molte verità tipo: «Nella mia vita sono stato un uomo antipatico, orgoglioso, vanitoso». Di tanta arroganza (che spesso nemmeno lui sopporta) è colpevole un'infanzia penosamente sofferta, con genitori inesistenti, nella brutalità di un vivere rozzo e povero. Eppure certe sue frasi, una volta scolpite in pagina - suonano di poesia. Ma la sua zucca solo momentaneamente può trasformarsi in carrozza. Il brutto sporco e cattivo Corona prende sempre il sopravvento e così l'orco riappare.
La personalità dell'Homus Ertanus fa specie a sé. Sembra poco credibile quando in questo ultimo libro parla di fragilità, timidezza e tenerezza (che senza desiderare o avere tiene però in debito conto), più credibile quando parla dei suoi "voltastomaco" perché Corona dice sempre pane al pane e vino al vino. Soprattutto al vino.
Svela di dormire all'aperto per stare in compagnia delle anime dei morti. E cita qua e là, i suoi amati: Pessoa, Borges, Brodskij, De Andrè, basta aprire il libro a caso e una citazione ti aspetta. E' un suo tratto specifico, lo fa sempre: che scriva che parli. Troppo forse: chi abbonda in citazioni ha bisogno delle idee degli altri non avendone di proprie, disse qualcuno notevolmente notevole (che non citeremo).
Ma l'irascibile Corona si dichiara pacifista. Tempo fa si era scagliato contro Fazio che non lo chiama in tv, che decide e filtra "chi" e "cosa". Nel suo libro Mauro Corona svela i dietro le quinte di chi alla fine decide cosa è cultura e cosa non lo è. Dei "soloni" e scrive: "... si definiscono intellettuali, uomini di cultura. Ma cambiamo discorso che mi viene il voltastomaco".
Mauro Corona è durissimo verso la critica e chi-decide-cosa soprattutto quei giurati di tanti premi letterari. Lui li chiama "i convenitori di ciò che è bello e ciò che non lo è". E nell'ultimo libro afferma "...a volte parlano troppo. Sapevo molto prima chi avrebbe vinto il premio Strega . Sapevo molto prima chi avrebbe vinto il Campiello, lo avevo detto e ci sono testimoni. I premi non li vinci i premi te li danno. Sapevo un mese prima che vincevo il Bancarella, tra l'altro con il più brutto dei miei brutti libri".
A Corona sono indigeste tutte le giurie. "Ogni tanto chiamano anche me, non so su che base ma se c'è una cosa che aborro verbo che usa Giampiero Mughini, sono le giurie. Chi sono io per dire: questo lo scarto e questo no?". E racconta che gli han chiesto di far parte di una giuria chiamata a giudicare dei ragazzi, a un premio letterario per i 50 anni del Vajont. "Ma io posso dire di un quadro, un libro o una cosa mi piace o non mi piace ma il problema è personale e viene dalla mia educazione dalla civiltà in cui sono cresciuto. Magari non mi piace un dipinto ma è un capolavoro. Le giurie non dovrebbero esistere".
E i grandi fenomeni alla Faletti? "Io Giorgio Faletti l'ho conosciuto e non l'ho mai reputato un comico, certo si guadagnava da ridere facendo da ridere, ma lui non rideva. Per la gente rimarrà un comico a vita come dicono di Grillo. La fortuna di Faletti sai quale è stata? Che uno dei convenitori di quello che è bello e quello che non è bello ha scritto 'ci troviamo di fronte al più grande scrittore italiano'. Questa notizia ha catturato il popolo che si è rivolto a Faletti, il quale scrive ottimi libri ma se non avesse avuto dalla sua quel giudizio, come scrittore sarebbe sconosciuto".
Tace però che fu Magris a dargli la spinta decisiva. O forse dice queste cose perché è accaduto anche a lui. Di certo bisogna dargli atto della sua inimitabile franchezza. E alla fine ci si rende conto che un tipo così, se non ci fosse bisognerebbe inventarlo e magari preparagli un posto al museo.
Accanto ad Otzi forse dormirebbe sereno.
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