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Mino Martinazzoli, la politica che verrà? Etica

«Vedo il declino, non la via d’uscita». La politica come servizio

«Non ho scelto la politica per vocazione e non considero la politica una professione. Ho vissuto la politica come un servizio, richiesto e insieme dovuto, verso la comunità». Insomma un dovere. Fermo Martinazzoli detto Mino (Orzinuovi 1931- Brescia 2011), ebbe il compito di guidare la Dc nel momento del suo minimo storico, eppure con coraggio accettò il compito, davvero ardito, che gli veniva dato.

Alla fine della sua vita, il suo sguardo intelligente sul mondo lo portò a dire in un'ultima intervista rilasciata a La Stampa: «Vedo il declino, non la via d’uscita» pur avendo sempre sostenuto che ci sarebber stati tempi nuovi per la politica:

«Il tempo che verrà sarà il tempo di un rapporto intenso fra politica ed etica".

Il suo pensiero - ancora di grandissima attualità - riporta a quel 1992, quando in piena Tangentopoli ebbe il mandato di salvare la Dc ('traghettare' si diceva al tempo). Seppe vedere in questa 'mission impossible' una chiamata a cui sentiva di non poter dire di no, perchè quella scommessa era un obbligo verso il futuro. Ed anche verso il passato, quel passato che aveva fatto della Dc un partito in cui avevano militato grandi intelligenze fin dalla fondazione del Partito Popolare (basterà citare Don Sturzo, De Gasperi, Moro) e grazie al quale l'Italia si era indubbiamente evoluta.

Sapeva bene di muovere nel tempo dell’antipatia e del disamore per i partiti, ma non smise mai di credere nella "buona politica" e nella possibilità di trovare ancora persone capaci e appassionate pronte a praticarla, nonostante tutto.

Lui che gli errori del partitismo, scoperchiati da Mani Pulite, non li aveva proprio commessi, sentiva di poterlo fare perchè forte delle spinte ideali e della responsabilità dell'agire civico. Grande amico del cancelliere Helmut Kohl sentiva forte anche il peso di garantire una presenza nel quadro europeo, visto che la Dc italiana aveva sempre sostenuto il Ppe. Si trovò alla guida del partito in sostanziale solitudine. Alla guida del quotidiano di partito, "Il Popolo", c'era  Sergio Mattarella. Proporre un ritorno alle origini, ri-adottando il nome di Partito Popolare italiano non fu un'operazione di cosmesi: significava tornare allo spirito dei suoi fondatori e Martinazzoli indicò la via. Sul ruolo dei cattolici in politica ebbe spesso a dire che il dibattito era poco utile o semplicemente mal posto perchè il problema non era la loro "unità". Perciò disse parole profetiche quando prefigurava un modo di essere cattolici in qualsiasi schieramento:

«Da Sturzo a De Gasperi in avanti nessuno ha mai pensato che la storia del partito dei cristiano-democratici dovesse fondarsi sulla pretesa dell’unità politica dei cattolici; Sturzo per primo ha detto parole definitive quando ha dichiarato che la religione è universale, la politica è parziale e quando ha spiegato che il suo partito non era il partito dei cattolici ma un partito di cattolici. Quindi la questione non è di costringere i cattolici a stare in un partito; la questione è semmai riconoscere il fermento, il lievito, che il mondo cattolico può offrire alla politica l’attitudine a dialogare con il prossimo, a servire gli altri (quindi la comunità, la società)».

Alla tentazione di dire “meglio una democrazia senza partiti” disse che occorreva resistere, riprogettando i partiti come luoghi di dialogo (e non sovrastrutture su cui poggiare fasce della società), quindi no al professionismo partitico ma anche no agli steccati: i partiti sono per definizione "di parte", ma possono accantonare la parzialità a favore degli interessi generali (l'idea di stato, la costruzione della comunità, il bene comune).

Resta la sua lezione di vita: fare politica con passione e per passione. Sentirla un dovere anche in quel momento in cui la politica diventa impopolare, come l'epoca storica in cui lui si trovò a viverla. Il suo contributo di pensiero prende forma in perle di ispirata intuizione e di grande speranza.

«Sono pieno di inquietudine, soffro molte mortificazioni, come tanti del resto, ma penso che in questo momento non c’è altro che la politica per chi abbia l’aspirazione a dare una mano al paese… Come si salva l’Italia? Facendo chi è giornalista del buon giornalismo, perseguendo chi è magistrato la giustizia, facendo chi fa la politica dell’onesta politica. L’Italia sta in piedi anche in questi giorni perché ci sono milioni di italiani che si alzano la mattina, vanno a lavorare per guadagnare onestamente la loro retribuzione; io voglio che la politica guardi da quella parte lì …».

Uomo fermo: di nome e di fatto.


Autore: Corona Perer

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