Arte, Cultura & Spettacoli

Propaganda e fake news ante litteram

Il caso del ''Simonino''

La vicenda del Simonino da Trento, non fu secondaria nella persecuzione degli ebrei. Si trattava di un infanticio ma sulle prime si sparse la voce che il bambino fosse stato vittima di omicidio rituale ebraico, perciò venne venerato per secoli come 'martire' innocente. Il Museo Diocesano di Trento ha dedicato a questa storia una mostra L'Invenzione del Colpevole (2020) in omaggio a mons. Iginio Rogger (1919-2014), già direttore del Museo Diocesano Tridentino e coraggioso protagonista della storica revisione del culto di Simonino, di cui nel 2019 ricorreva il centenario dalla nascita.

Mons. Rogger compì molti studi al riguardo, negli anni del Concilio Vaticano II, finchè la Chiesa grazie a lui decise di abrogare il culto del Simonino il 28 ottobre 1965. In una nostra intervista, pochi mesi prima di morire, Mons. Rogger ci confidò che forse fu proprio per quel motivo che i poteri forti della Curia romana gli vietarono di diventare Vescovo, soglio al quale non aspirava, ma al quale molti lo avevano candidato per i suoi molti meriti.

Questo emblematico episodio risalente al 1475, mette in evidenza i meccanismi di costruzione del ‘nemico' e il potere della propaganda.

Se si va allo Yad Washem di Gerusalemme una delle prime immagini che si incontra nel percorso storico che tenta di ricostruire l'origine dell'odio contro gli ebrei, è proprio quella del Beato Simonino da Trento. Perchè fu un caso emblematico che portò a radicare l'idea contorta di un popolo che friggeva ostie in padella e usava il sangue dei bambini per riti sacrificali. In realtà quello del Simonino era stato un tragico caso di cronaca.

Il bimbo fu invece  ucciso,  un orrore che accade anche ai nostri giorni. Ma se da un lato quel caso aggiunse motivi di odio verso gli Ebrei, dall'altro originò anche un culto infondato, ovvero strumentalmente indotto.

La vicenda, risalente al XV secolo, si potrebbe oggi definire una clamorosa fake news del passato, nella quale si intrecciano sentimenti antiebraici, esigenze devozionali e ambizioni di politica ecclesiastica. L'esposizione intende richiamare l'attenzione del pubblico su una delle pagine più oscure dell'antisemitismo, per stimolare la riflessione sui meccanismi di ‘costruzione del nemico' e sul potere della propaganda.

Tutto accade nella Trento del 1475: era il 23 marzo, giovedì santo. Simone, un bambino di circa due anni, scompare misteriosamente tra i vicoli dell'antica città alpina. Il giorno di Pasqua il suo corpo senza vita viene ritrovato nei pressi della casa di Samuele, uno dei maggiori esponenti della piccola comunità ebraica locale. Ritenuti responsabili del rapimento e dell’omicidio del bambino, gli ebrei sono subito incarcerati, processati e, sulla base di confessioni estorte con la tortura, condannati a morte. L’accusa si fondava sulla credenza, o leggenda, che gli ebrei compissero sacrifici rituali di fanciulli cristiani con lo scopo di reiterare la crocifissione di Gesù, servendosi del sangue della vittima per scopi magici e religiosi. Il piccolo Simone (detto il 'Simonino') viene subito considerato un martire e diventa oggetto di un culto intenso, che papa Sisto IV proibisce, inutilmente, sotto pena di scomunica.

La prudenza e i dubbi della Chiesa non riescono infatti ad opporsi ad una venerazione tributata per via di fatto e costruita utilizzando due potenti mezzi di comunicazione: le immagini e il nuovissimo strumento della stampa tipografica. Grazie alla macchina della propaganda, abilmente orchestrata dal principe vescovo di Trento Johannes Hinderbach, vero regista dell'intera operazione, il culto di Simonino si diffonde rapidamente, riuscendo a imporsi come prototipo di tutti i presunti omicidi rituali dei secoli a seguire.

Solo nel Novecento la rilettura critica delle fonti ha ristabilito la verità storica, dimostrando l’infondatezza delle accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei, maturate in un clima di radicati pregiudizi antigiudaici.

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