La vita frugale di Paolo Orsi in Calabria
di Enzo Romeo*
La fortuna di uno dei più grandi archeologhi italiani, e con lui del Mezzogiorno che gli deve tanto per la riscoperta del patrimonio antico, fu l’esclusione dall’insegnamento universitario. Alla Sapienza di Roma lo bocciarono al concorso per la cattedra di archeologia e così il roveretano Paolo Orsi (18 ottobre 1859 - 8 novembre 1935) rimase nei ruoli della pubblica amministrazione, come ispettore degli scavi e dei musei.
Nel 1890 fu inviato a Siracusa, dove si dedicò allo studio degli insediamenti preistorici e pre-ellenici e a quello delle colonie greche. Scoprì templi, necropoli, mura, palazzi, monete, riportò alla luce intere città.
Tra le cinque e le sei del mattino, d’estate e d’inverno, attraversava la piazza della cattedrale e apriva la postierla incastonata nel gran portone del vecchio edificio che ospitava il museo. Quindi spariva nell’ombra e si immergeva nel suo lavoro. «U Diretturi esti u primu chi s’affaccia ‘cca, poi vènunu i spazzini». Il direttore arriva al lavoro prima degli spazzini, dicevano i siracusani tra l’ammirazione e lo sconcerto.
Nel 1900 Orsi fu commissario del Museo nazionale di Napoli, gettando le basi del suo riordino, e nel 1907 ebbe l’incarico di organizzare la Soprintendenza della Calabria (allora detta «del Bruzio e della Lucania») con sede a Reggio, dove contribuì alla costituzione del grande Museo della Magna Grecia, quello che oggi custodisce, tra gli altri capolavori, i Bronzi di Riace. Ma l’impresa più epica di Paolo Orsi fu rappresentata dalle campagne di scavo condotte a Locri Epizefiri, l’antica colonia fondata tra l’VIII ed il VII secolo a.C. da un nucleo di coloni provenienti dalla Locride, regione della Grecia centrale tra il Golfo dell’Eubea e il Golfo di Corinto.
La Locri magnogreca fu uno dei centri culturali più importanti del mondo classico: qui con Zaleuco ci fu la prima legislazione scritta d’Occidente, perché non si subissero più le decisioni arbitrarie dei giudici; qui il governo fu presieduto da filosofi come Timeo, che scriveva trattati sull’anima del mondo e della natura; qui le donne erano istruite e si dedicavano alla poesia, come l’eccelsa Nosside, emula di Saffo, che nei suoi epigrammi cantava che «nulla è più dolce d’amore»; qui si esaltava la bellezza e la valentia atletica, tanto che ci furono campioni olimpici del calibro di Eutimo ed Agesidamo, pugili imbattibili. Scrisse Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia: «A Locris Italiae frons incipit, Magna Graecia appellata», da Locri ha inizio la fronte dell’Italia, chiamata Magna Grecia.
A Locri, Orsi vi era giunto la prima volta nel 1889, inviato dal Ministero della pubblica istruzione per affiancare gli scavi dell’archeologo tedesco Eugen von Petersen.
I due studiosi fecero un saggio accurato del tempio jonico di contrada Marasà, uno dei più belli di Locri, e portarono alla luce lo splendido gruppo marmoreo dei Dioscuri, che ne decorava il frontone. Una volta nominato sovrintendente, le sue campagne di scavo divennero febbrili.
Sulla terrazza Marafioti scavò il tempio dorico di Zeus coi pentaglifi (motivi derivati dal fregio dorico e costituiti da cinque glifi, ovvero scanalature, alternati a una metopa, spazio rettangolare posto tra loro) e l’acroterio dell’Efebo cavalcante fittile, altro prezioso reperto che si può ammirare al Museo di Reggio Calabria. Più in alto rinvenne il misterioso Muro Cusemi, forse parte della possente cinta difensiva di Locri. E, ancora, la Torre Marzano, lo stilòbate del tempietto di Atena e, soprattutto, il santuario di Persefone, la dea suprema di Locri, ricco di migliaia di frammenti di pinakes, le tavolette votive, e di figurine arcaiche di creta colorate
Per controllare meglio gli scavi, Paolo Orsi dormiva sotto gli alberi di ulivo o gli agrumeti. Il risultato fu un’artrite reumatoide che gli procurò dolori lancinanti e lo immobilizzò a lungo. Allo stremo delle forze, i suoi operai dovettero trasportarlo, su una lettiga improvvisata, alla Torre (o casino) Moschetta, presso l’omonima frazione di Locri, comune che allora si chiamava ancora Gerace Marina.
In questa dimora agricola, che apparteneva e appartiene tuttora alla famiglia Scaglione, una delle più antiche casate della zona, Paolo Orsi creò il suo quartier generale. Un luogo ideale allo scopo, perché da quel punto, caratterizzato da un torrione cilindrico posto ad un angolo della costruzione, costruito col riuso di blocchi in arenaria risalenti al periodo greco, si domina tutta la vasta area archeologica dell’antica Locri. Tra l’altro, il casino fu la prima sede della collezione archeologica privata di Domenico Scaglione (1877-1947), che raccolse negli anni i numerosi reperti archeologici che affioravano nella proprietà, spesso consegnati dagli stessi contadini che coltivavano le sue terre.
Paolo Orsi nella Torre di Moschetta fece vita frugale, proprio come i contadini che abitavano quel pezzo di Calabria affacciata sullo Jonio e coi quali condivise la gioia delle sue scoperte. Nel 2013 è stata posta una targa in marmo su una delle pareti esterne del casino: «Paolo Orsi, insigne archeologo, dimorò in questo Palazzo quando restituì all’Umanità il celebrato sito di Lokroi Epizephyrioi».
La gente del posto è orgogliosa di questo intemerato studioso trentino e lo considera un po’ come uno di loro. Qui tutto parla di lui e dei suoi ritrovamenti. In un giardino vicinissimo al casino c’è una sorta di fontanella in cui Scaglione fece inglobare dei reperti archeologici. Adesso la sfida è far diventare questo luogo un’area museale per la riscoperta storico-culturale del territorio e, allo stesso tempo, una sorta di “santuario” laico dedicato all’archeologo di Rovereto.
Il problema più serio, quello della mancanza di strutture ricettive, è stato risolto con l’apertura due mesi fa di un albergo a quattro stelle, dotato di tutti i confort ma dai prezzi accessibilissimi, il Fontanella Hotel (appuntarsi telefono e indirizzo, ne vale la pena: 0964-21832 / 333-5692656 / Contrada Moschetta snc - 89044 Locri - RC). Ricavato dalla ristrutturazione di un palazzo settecentesco della famiglia nobiliare Ramirez, l’hotel dispone di dodici camere, più due junior suite e una suite, per un totale di trenta posti letto, in grado di coniugare la calda accoglienza familiare con la professionalità del servizio.
Lo gestisce la famiglia Simone, che da decenni nell’omonima trattoria (La Fontanella), posta proprio di fronte alla nuova struttura ricettiva, delizia i palati di turisti, visitatori e avventori locali che vogliono gustare la vera cucina calabrese.
Adesso il sogno dei fratelli Domenico e Antonio Simone, e del loro papà Rocco, piccoli ma tenaci imprenditori, innamorati della propria terra, è che si avvii un gemellaggio tra Locri e Rovereto, perché anche i corregionali di Paolo Orsi possano vedere cosa ha portato alla luce il “loro” archeologo e godere, a distanza di più di un secolo, della stessa ospitalità, solo con qualche comodità in più…
* Giornalista e scrittore
Vaticanista del TG2
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