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Povertà educativa: a Catania soffia Buon Vento

Progetto che sperimenta la navigazione in barca a vela come riabilitazione

Catania 1 agosto 2024 - Povertà educativa e disabilità intellettivo-relazionale: a Catania soffia Buon Vento. Ha preso il via, proprio in questi giorni, il progetto che sperimenta la navigazione in barca a vela quale strumento riabilitativo.

Un micromondo fatto di regole, di manovre, di equipaggi affiatati che tra le onde imparano disciplina e valori. Un ancoraggio per adolescenti fragili che fanno scuola di vita tra le onde, grazie a “comandanti” (i cosiddetti psicologi  di bordo) che guidano percorsi di messa alla prova, in equilibrio tra “passati” tempestosi e “futuri” di nuova consapevolezza.

L’iniziativa - realizzata da I Tetragonauti APS (ente capofila), grazie al finanziamento concesso dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – è portata avanti da  Centro Koros APS, associazione che si occupa della promozione e tutela del benessere della persona, attraverso l’attività interdisciplinare di diverse figure professionali: psicologi, psicoterapeuti, operatori di vela solidale.

«Abbiamo già avviato le attività nelle scorse settimane, salpando dal porto di Catania con 4 gruppi di ragazze e ragazzi delle Cooperative sociali Controvento e Sottosopra (il movimento giovani per Save the Children) – spiega Francesca Andreozzi, psicologa esperta di vela solidale, presidente di Centro Koros e di Fondazione Fava – e proprio in questi giorni navigheremo con giovani inviati dall'Ussm e dai servizi sociali di Gravina di Catania. Ispirandoci al concetto di “spazio” (dal termine greco χῶρος) intendiamo offrire un luogo privilegiato in cui le persone possano sentirsi ascoltate, accolte e sostenute. Questo spazio è la barca a vela: da oltre 10 anni infatti promuoviamo la navigazione come mezzo formativo ed educativo, per la prevenzione e il recupero fisico e psichico».

Le attività progettuali di “Buon Vento” si rivolgono a minori in condizioni di disagio sociale, povertà educativa e disabilità intellettivo-relazionale: nei mesi estivi sono previste diverse uscite giornaliere per ogni equipaggio, con l’obiettivo di prendere confidenza con il mare, per poi iniziare a collaborare attivamente nelle manovre e nella conduzione dell’imbarcazione.

Nella seconda fase del progetto (a partire dal 2025) verranno realizzate crociere di 3 o 4 giorni con equipaggi “misti” che sperimenteranno il viaggio, la navigazione, il mettersi in gioco in situazioni nuove come opportunità di crescita, maturazione e cambiamento. «Navigare è un modo per avere una nuova prospettiva rispetto all’ambiente che ci circonda (la terraferma sullo sfondo e il mare) e a noi stessi – continua Andreozzi – il focus è imparare a convivere seguendo le regole, provando a cambiare rotta verso nuovi orizzonti.

Il mare è per antonomasia metafora di vita: riuscire a stare a galla con coraggio, mantenere la calma nelle situazioni più critiche, sciogliere i nodi delle cime per lasciarsi trasportare dal vento delle passioni, trovare nel silenzio e nella propria interiorità il porto sicuro. Ecco, questo è per noi il “Buon vento”.

La vita di bordo rappresenta un luogo privilegiato per la sperimentazione di ruoli, compiti e responsabilità; far parte di un equipaggio, condividendo con gli altri le emozioni del navigare, le situazioni di difficoltà e responsabilità, permette di entrare in una nuova dimensione, in cui collaborazione, affiatamento, fiducia reciproca, caratterizzano le relazioni. L’andar per mare permette di scoprire diversi orizzonti e possibilità, stimolando l’apprendimento di nuove conoscenze, permette di attivare le proprie competenze relazionali, rinforzare la propria autostima. «Le attività proposte – conclude Andreozzi - daranno l’opportunità a tutti i partecipanti di lavorare da una parte sulle risorse interne, dall’altra sulla socialità e l’integrazione, contribuendo ad un aumento dell’autonomia e della consapevolezza di sé e dell’altro».

Un bellissimo progetto, bravi!

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COSA E' LA POVERA' EDUCATIVA

La povertà educativa è data non solo dal  reddito dei genitori che determina l'accesso a ciò che aiuta un bambino a crescere, ma anche dall’ambiente circostante: ci sono cioè altri fattori oltre al reddito da monitorare nel contesto della povertà educativa minorile perchè l’apprendimento non avviene solo a scuola, ma dappertutto.

Secondo l’ISTAT, in Italia abbiamo attualmente 1 milione e 137 mila minori che vivono in povertà assoluta su un totale di 9 milioni e 800 mila. E secondo Save the Children dopo il COVID-19 sono aumentati. La mancanza di risorse espone i minori non protetti a rischio anche alla povertà educativa perchè il primo elemento importante per i bambini è il reddito dei genitori e la certezza del reddito, mensile e annuale.

La povertà si riverbera sull’educazione dei bambini in aspetti pratici: non poter acquistare quaderni e libri, vivere in una casa troppo piccola e non avere quindi uno spazio dedicato allo studio.
Povertà educativa è non poter avere gli strumenti per l’educazione digitale che si è resa necessaria in questo anno di emergenza sanitaria. Ma esiste un digital divide, ovvero divari nell’uso e nell'accesso alle tecnologie.

La pandemia ha accentuato i divari in apprendimento e l’apprendimento scolastico durante il periodo di chiusura delle scuole, è stata una grande occasione di innovazione didattica, utile ai ragazzi, ai docenti e ai genitori. Non ovunque, purtroppo. Per innovare in modo egualitario dobbiamo risolvere il problema della rete, della connettività e dei device (ovvero gli strumenti per connettersi) che sono importanti, ma se ci sono zone dove non c’è rete...che succede?

C'è dunque anche una povertà sociale e comunitaria: per un bambino vivere in una zona interna spopolata, fa sì che i tuoi coetanei siano a molti km di distanza, e vivere in quartieri disperati, come le periferie del Mezzogiorno, dove spesso domina la cultura della criminalità organizzata, non aiuta.

Risiedere in un quartiere degradato, non curato, senza verde e parchi giochi, dove i palazzi non hanno manutenzione e non ci sono servizi interviene dunque nella condizione di povertà educativa, che dipende anche dal vivere in luoghi dove sono venute a mancare le occasioni di ritualità comune, tradizioni di carattere comunitario che trasmettono un senso di identità e di appartenenza, e questo elemento unisce i bambini ricchi e i poveri.

Se questo si somma alla difficoltà dei genitori a rispondere adeguatamente a difficoltà, fragilità personali, problemi familiari. La condizione di povertà educativa se la Scuola o il territorio non sa rispondere a questi problemi o non può farlo. La Scuola del resto non può compensare da sola e non riesce a dare di più a chi parte con meno.

Quindi le condizioni di partenza degli alunni sono fondamentali.
E questo è un problema che dovrebbe essere in cima agli obiettivi ministeriali.

(C.Perer)

 

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