Reinhold Messner, 80 anni
Nella sua vita oltre alla montagna e alle recenti amarezze anche chiodo...e una storia
(Corona Perer) - Messner compie 80 anni. Nella sua vita oltre alla montagna, agli amori e ai figli (che gli han dato qualche amarezza esternata di recente) c'è una storia. Anzi un chiodo...una storia. L'abbiamo raccolta a Castel Firmian nel 2008, quando Ivo Rabanser ha restituito al grande alpinista il chiodo piantato nel luglio 1968 su una parete che rimase scolpita nella loro memoria.
Alla fine dell’incontro Rabanser ce lo confidò spassionatamente. “Quando l’ho visto non ci ho pensato sue due volte e l’ho preso, sostituendolo con uno dei miei”. Il chiodo forgiato a mano, che Ivo Rabanser ha consegnato a Reinhold Messner, a Castel Firmian sede del Museo della Montagna, era rimasto 40 anni conficcato nella roccia. Era il 1968 e quella era stata una scalata drammatica.
Reinhold (che all’epoca era già noto) si trovava col fratello Gunther sul Pilastro di Mezzo del Sass dla Crusc*. “Andare avanti o rischiare di cadere, non c’era altra scelta” ha raccontato con commozione ai giornalisti, perché, nel rievocare quella scelta erano venute a galla anche le discussioni con il fratello precipitato pochi anni dopo nelle nevi del Narga Parbat (ha poi girato un film sui luoghi dove ha trovato la morte anche Unterkircher).
“Ricordo che ci fu una discussione. Si trattava di una scelta decisiva: potevamo lasciarci la pelle. Tutto andò bene alla fine ma giurammo di non tornarci mai più” ha raccontato Messner. E così fu. Rimase il chiodo che aveva salvato entrambi. Oggi quella parete si chiama “Placca Messner”.
foto cperer riproduzione riservata
A disposizione oggi ci sono chiodi più evoluti e resistenti, con il freno. Tuttavia questo chiodo è speciale: ha una storia, quella di una tra le traversate più difficili. A ripercorrerla con coraggio è stato però il gardenese Ivo Rabanser, classe 1970, cresciuto - come ha detto - all’ombra del mito dei Messner.
Forte dei racconti dell’illustre collega che considera un ‘maestro’, ha voluto ritentare la parete convinto che si sarebbe imbattuto su quel chiodo che Messner aveva descritto nei minimi dettagli. E’ andata che l’ha trovato.
“Ad una cena gli chiesi di descriverlo: pareva che lo avesse conficcato il giorno prima. Ero certo era il suo”. Sulla fessura che lo ospitava Rabaser ne ha messo uno suo non per narcisismo, ma perche rimanesse un chiodo e perché quello del 1968 tornasse al legittimo proprietario.
“E’ davvero un grande dono, una grande emozione” ha commentato Reinhold Messner nel corso di un incontro che di colpo si è trasformato oltre che in un abbraccio tra un maestro e un allievo ideale, in un confronto sul fare montagna tra due generazioni nell’era del turismo di massa e delle spedizioni commerciali.
“Messner per me rappresenta l’alpinismo classico, l’uomo che si adegua alla montagna. Le sue salite sulle Dolomiti non sono meno importanti di quelle fatte sull’Himalaya” ha detto Rabanser che ha mostrato la lettera con la quale da ragazzino, a soli 16 anni, scriveva all’illustre alpinista per chiedergli i dettagli di una certa via.
Messner gli rispose sullo stesso foglio, unendo foto e piantina del tracciato. E il celebre alpinista ha riconosciuto a Rabanser l’amore per la storia, la capacità di intravvedere nella roccia gli sviluppi del modo di fare arrampicata. E poi ha svelato molti dettagli di quel chiodo.
“Io e Gunther non avevamo all’epoca i soldi per comprare i chiodi più evoluti, e allora ce li facevamo fare da un fabbro della val di Funes. Questo pezzo mi ricorda tante cose, muove tante emozioni. Litigai con mio fratello poco prima di piantarlo nella roccia, l’alternativa era un volo di 30 metri, non avevamo via di scampo”. Quanto al come si fa montagna oggi Messner ha ripetuto quel che dice da tempo. “Non si deve salire se non si sa come scendere. Oggi sono in molti ad andare in montagna, più italiani che tedeschi, ma si va molto meno di un tempo nella grande montagna. L’incidente può capitare, è normale. Ma questo capita perché si sottovaluta il rischio non tanto perché si compie un errore. L’errore è semmai essere saliti senza esserne all’altezza. Inoltre se si percorrono vie attrezzate non ci si allena al rischio che è sempre dietro l’angolo”.
(C. Perer - 13 agosto 2008)
*si scrive proprio” Sass dla Crusc”
Autore: Corona Perer
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