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Netflix non dà il vero ritratto di Vincenzo Muccioli

In una nota la Comunità si dissocia

L'ha fondata perchè non accettava di vedere i ragazzi morire. Vincenzo Muccioli, creò dal nulla una realtà che ha ormai più di  40 anni. La comunità di San Patrignano inizia nel 1978 accogliendo ragazzi e ragazze con gravi problemi di droga. Lo fa ininterrottamente da allora in maniera completamente gratuita e senza richiedere alcun contributo alle loro famiglie. Sono passate oltre 26.000 persone, a cui è stata data una casa, assistenza sanitaria e legale, la possibilità di studiare, di imparare un lavoro, ma soprattutto la grande chance di cambiare vita e di rientrare a pieno titolo nella società. Attualmente gli ospiti della comunità sono circa un migliaio.

Netflix ne ha fatto una docu-serie ma la comunità San Patrignano si dissocia completamente dal racconto che emerge, definito in una nota ''sommario e parziale'' fondato in prevalenza su testimonianze di detrattori che hanno avuto contenziosi con la Comunità.

''Per trasparenza e correttezza abbiamo ospitato per diversi giorni la regista della serie la quale è stata libera di parlare con chiunque all’interno della comunità, e abbiamo inoltre fornito l’elenco di persone che hanno vissuto e o tuttora vivono a San Patrignano" afferma nell nota la Comunità. ''L'elenco è stato totalmente disatteso favorendo un resoconto unilaterale su tesi preconcette''.

San Patrignano, con i suoi oltre 1000 ospiti, si dice preoccupata per gli effetti negativi e destabilizzanti che potrebbero ricadere sull’oneroso lavoro di recupero, reinserimento e prevenzione, ai quali la comunità è da decenni impegnata.

''Le spettacolarizzazioni e semplificazioni  per scopi di intrattenimento commerciale, potrebbero colpire le numerosissime persone e le loro famiglie che affrontano il grave problema della tossicodipendenza, oggi ancora emergenza nazionale".

La ricostruzione di Netflix accentua alcune testimonianze sui metodi di Muccioli, ma se si chiede ai primi ex-tossici chi era Muccioli, rispondono "un padre". Un faro, una luce. E in ultima analisi un pioniere: da imprenditore del turismo (era un albergatore di Rimini) decide di dedicarsi, insieme alla moglie Maria Antonietta, ai ragazzi che hanno scelto pericolosamente la strada. E se oggi si chiede ai ragazzi di raccontare cosa è Sanpa ne esce il ritratto di una famiglia per giovani che hanno sperso motivazione e devono riprendere un cammino fatto di autostima, di dignità, di responsabilità, di entusiasmo.

Sanpa è quindi un luogo di valori e di rigenerazione dove coloro che cercano di restituire senso alla propria vita, dopo aver attraversato momenti drammatici, ricostruiscono la propria identità e il proprio futuro sulle basi solide dei valori che rafforzano: l’onestà, l’impegno, il rispetto per se stessi e per gli altri, la solidarietà, la capacità di relazione. Circondati da aiuto sincero e da persone che non giudicano, ma stanno accanto.

Il metodo è favorire la crescita personale, rinascere, spezzare la malefica prigionia della droga. Un percorso non facile nel quale gli ospiti possono completare gli studi interrotti, ottenere una formazione professionale e universitaria, recuperare i mestieri d’arte e la cura artigianale, acquisire una capacità che valorizzi le abilità personali per poter progettare il futuro.

"Un percorso gratuito, perché l’amore è dono" si legge nel sito istituzionale. Nella Comunità svolgono la loro attività 109 operatori volontari e 275 tra collaboratori e consulenti, il 40% dei quali provenienti dal percorso di recupero. La comunità accoglie, inoltre, circa 40 bambini, figli di operatori e di ragazzi che svolgono il percorso, numerosi nuclei familiari e più di 30 minorenni reduci da problematiche di disagio e consumo di droghe. Ci sono anche ospiti che svolgono il percorso in alternativa al carcere. Negli ultimi 25 anni, la comunità ha sostituito oltre 4.000 anni di pene detentive con programmi di recupero e reinserimento sociale e lavorativo.

Secondo ricerche sociologiche e tossicologiche svolte dalle Università di Bologna, Urbino e Pavia su campioni di ex ospiti della comunità, la percentuale di persone totalmente recuperate dopo aver completato il percorso a San Patrignano supera il 72%.
I fondi necessari al mantenimento dei ragazzi e delle strutture derivano, in parte, dalle attività e dai beni e servizi prodotti secondo il principio dell’autogestione e, per il fabbisogno restante, da donazioni e contributi di privati.

Vincenzo Muccioli è morto 25 anni fa nel settembre del 1995. I suoi ragazzi lo hanno ricordato con una messa officiata dal parroco della Comunità, Don Fiorenzo,  nell’auditorium del centro di recupero dove, quest’anno a causa delle restrizioni anti Covid non hanno potuto partecipare gli ospiti esterni.

Tutti presenti invece i 1200 ragazzi e ragazze della comunità, i volontari e gli educatori che portano avanti l’impegno del centro di recupero. “Durante la pandemia San Patrignano è stata capace di rimanere salda, unita, continuando a vivere con attenzione gli uni verso gli altri” ha sottolineato Don Fiorenzo. E oggi San Patrignano continua ad ispirarsi ai valori incarnati da Vincenzo Muccioli, nella lotta contro l’emarginazione e nella speranza di un recupero vero, continuando ad essere per la società, come lui diceva, “non una città ideale, ma rimanendo sempre un luogo di passaggio, in cui gli uomini che la società ha considerato rifiuti, gli emarginati, i disadattati, possano imparare a praticare la libertà dei cittadini, per tornare ad essere elementi positivi in quella stessa società che li aveva rifiutati e avvelenati”.

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