Archivio MUSE, fotografa Giulia Curti
Archivio MUSE, fotografa Giulia Curti
Scienza, Ambiente & Salute

L’eredità dei ghiacciai è preziosa

''Dal ghiaccio a noi''. Le ricerche MUSE sui ghiacciai nell'Antropocene

L’eredità dei ghiacciai è preziosa.  I ghiacciai sono testimoni della nostra storia. Dal 22 marzo al 9 novembre 2025, la mostra “Dal ghiaccio a noi. Le ricerche MUSE sui ghiacciai nell'Antropocene” parte dalle motivazioni che hanno spinto le Nazioni Unite a dichiarare il 2025 Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai.

I ghiacciai ritirandosi, rilasciano nelle acque di fusione sostanze in passato intrappolate nel ghiaccio e ci restituiscono reperti, incisioni, materiale organico. L’esposizione stimola a riflettere sulle conseguenze più profonde della riduzione e della scomparsa dei ghiacciai: la consapevolezza della fragilità di questi ecosistemi e l’urgenza di un cambiamento dei nostri stili di vita.  

Il percorso in mostra evidenzia le caratteristiche dei ghiacciai quali ecosistemi che ospitano una biodiversità unica, custodi di informazioni preziose, tracce del passato della Terra e segnali del suo futuro, senza dimenticare il loro ruolo estetico, ricreativo, di preservazione della memoria di eventi bellici passati, archivio paleoclimatico, riserve di acqua dolce da cui dipende la sopravvivenza di miliardi di persone e non solo. Un allestimento snello, corredato da tre video, stimola la riflessione e il dialogo attorno ai temi della progressiva scomparsa dei ghiacciai e le sue conseguenze sulla vita di tutte e tutti noi.

 (Archivio MUSE, fotografo Michele Purin)

 

La mostra parte dall’esperienza pluridecennale di ricerche svolte dal MUSE e dagli altri enti di ricerca trentini nelle Terre Alte e in relazione alla criosfera, portando a conoscere i metodi, gli strumenti, i risultati degli studi condotti sul territorio e le collezioni museali. Una ricerca orientata e collocata nell’ambiente montano, di cui i ghiacciai sono parte fondamentale.

I modelli climatici ci dicono che, a meno di una decisa inversione di tendenza, il riscaldamento globale lascerà entro la fine del secolo pochissimi ghiacciai sulle Alpi. In Trentino, dal 1888 il ghiacciaio della Marmolada si è ridotto in volume del 94%, e arriva a perdere fino a 7 centimetri di spessore al giorno, mentre le ultime rilevazioni condotte sul ghiacciaio Adamello-Mandrone segnano una perdita complessiva di 3 metri alle quote più basse. Una tendenza veloce, che sembra inarrestabile.

Ma non sono solo i ghiacciai delle Alpi a ridursi per effetto del cambiamento climatico, è un processo che avviene a scala globale.  

In mostra è possibile conoscere gli effetti del cambiamento climatico sui ghiacciai alpini, le relazioni che abbiamo con i ghiacciai, le conseguenze della loro riduzione e scomparsa, con l’obiettivo di riflettere non solo sulla loro perdita fisica, ma anche su come lo studio di questi ecosistemi fornisca dati chiave per l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici.  

“Nell'immaginario collettivo, il concetto di ghiacciaio è associato all'idea di qualcosa di immutabile, fermo. Basti pensare che, per definire ciò che è immobile, usiamo comunemente termini come “freezato” o “congelato”. Nei fatti non è così, sopra e intorno ai ghiacciai c'è una vita in continua evoluzione” spiega la coordinatrice dell'Ambito Ricerca Clima Ecologia del MUSE, Valeria Lencioni. “Ci sono organismi che dipendono dalla presenza dei ghiacciai per vivere, altri invece che ne approfittano, colonizzando le zone lasciate libere. I ghiacciai sono archivi naturali di dati sul clima, sull'ambiente e sulle vicende umane, conservano tracce che ci permettono di ricostruire il clima della Terra e aspetti della nostra storia legati a guerre, pratiche di gestione territoriale e sviluppo industriale.  Testimonianze che il MUSE, assieme ad altri istituti di ricerca studia e conserva, perché non vadano perse”.  

Al centro dell’esposizione, i risultati della ricerca scientifica del MUSE nelle Terre Alte e in relazione alla criosfera: attraverso testi, strumenti, reperti si potrà conoscere i metodi, gli strumenti e i risultati degli studi glaciologici, biologici ed ecologici condotti sul territorio.

Le attività collaterali alla mostraCome per tutti i progetti di MUSE Agorà, il coinvolgimento dei pubblici del museo è fondamentale per rendere vivo e partecipato lo spazio. Per questi, è in programma una serie di appuntamenti con cadenza mensile che coinvolgeranno soprattutto esponenti del mondo della ricerca, che troveranno in Agorà un’occasione per condividere e discutere metodi e risultati dei loro studi che, in alcuni casi, hanno coinvolto anche il MUSE.

 

Scioglimento ghiacciai e reperti bellici: la storia ''tossica''.

I ghiacciai sono come libri aperti: da loro emergono storie di esplorazioni, di ricerca della bellezza fisiografica, di uso industriale associato all’idroelettrico, di sport alpini, di guerre combattute, di aree di passaggio tra imperi o nazioni, di fragili ecosistemi con biodiversità esclusiva. Storie emerse grazie al ritiro dei ghiacci, raccolte e studiate da esperti.

Il ritiro dei ghiacciai  ha portato alla luce numerosi residuati  della grande guerra. Matasse di filo spinato, proiettili, bombe, fucili: i reperti della Prima Guerra Mondiale, rimasti sepolti nei ghiacciai alpini più di cent’anni fa, oggi stanno emergendo a causa del diffuso ritiro dei ghiacciai, entrando a diretto contatto con i torrenti alimentati dalle acque di fusione glaciale. 

E' partito quindi uno studio scientifico per capire che cosa il ghiaccio circostante dicesse di quegli eventi dell'Uomo e si  scoperto che nelle acque di fusione e nell’intestino degli insetti si trovano ancora tracce di metalli pesanti. Il che vuol dire affrontare anche il problema di una possibile contaminazione emergente da metalli pesanti nelle acque dei torrenti.

 

Ebbene si è capito che i metalli "bellici" sono stati bioaccumulati maggiormente nelle larve provenienti da siti più vicini al fronte di guerra, con effetti ancora sconosciuti sul loro metabolismo e sulle possibili ricadute sulla catena trofica nei tratti più a valle.  ''Questi risultati forniscono prove preliminari della contaminazione delle acque e del bioaccumulo di metalli e metalloidi da parte della fauna glaciale come possibile eredità della Prima Guerra Mondiale nelle Alpi'' si legge nello studio.

I metalli “bellici” utilizzati per la costruzione di cannoni e artiglieria militare (arsenico, antimonio, rame, ferro, piombo, nichel, stagno, zinco), “liberati” dal ritiro dei ghiacciai, lasciano tracce nelle acque di fusione e vengono assorbiti da parte dei chironomidi, gli unici moscerini acquatici a popolare i gelidi torrenti glaciali.  

Uno studio condotto su tre ghiacciai alpini (Lares, Presena e Amola) da MUSE - Museo delle Scienze di Trento in collaborazione con l’Università dell’Ohio e con il sostegno della Fondazione Cogeme ETS di Rovato in Provincia di Brescia, apre nuovi scenari sull’eredità della Prima Guerra Mondiale nelle Alpi italiane e sul suo impatto sulla fauna glaciale.  

La ricerca è stata pubblicatasulla rivista scientifica internazionale Chemosphere: link (Metal enrichment in ice-melt water and uptake by chironomids as possible legacy of World War One in the Italian Alps).

Le ricercatrici e i ricercatori del MUSE – Museo delle Scienze e dell’Università di Ohio hanno condotto l’analisi chimica delle acque di fusione di tre ghiacciai trentini (Lares, Presena e Amola – gruppo Adamello-Presanella) e la ricerca di contaminanti (metalli pesanti) nelle larve di insetti che le popolano (tutte appartenenti al genere Diamesa).  Sono quei ghiacciai che furono teatro del primo conflitto mondiale tra Italia e Impero austro-ungarico.

Lo studio ha indagato gli inquinanti lasciati in eredità sulle Alpi dal più alto fronte della Prima Guerra Mondiale e il loro potenziale impatto sugli ecosistemi glaciali. Per farlo, il team di ricerca ha quantificato 31 elementi mediante spettrometria di massa nell'acqua e nelle larve del moscerino Diamesa zernyi provenienti dai tre torrenti glaciali analizzati. Gli elementi rinvenuti nelle acque dei torrenti sono stati interpretati utilizzando il fattore di arricchimento crostale che determina quali siano gli elementi maggiormente concentrati rispetto al valore di fondo dato dalla composizione della crosta terrestre), mentre l'assorbimento larvale è stato quantificato adottando il fattore di bioaccumulo (che è il rapporto tra la concentrazione nell'animale e la concentrazione nell’acqua).  

Dati alla mano, nell’acqua sono stati osservati arricchimenti, da bassi a moderati, per antimonio e uranio nel torrente Presena e per argento, arsenico, bismuto, cadmio, litio, molibdeno, piombo, antimonio e uranio nel torrente Lares. Le larve hanno accumulato i diversi elementi in concentrazioni fino a novantamila volte superiori rispetto a quelle dell'acqua. In particolare, le larve raccolte nel torrente Lares hanno accumulato la maggior quantità di metalli e metalloidi, compresi quelli maggiormente utilizzati nella fabbricazione dell’artiglieria (arsenico, rame, nichel, piombo e antimonio).Tra questi, rame, nichel e zinco rientrano tra gli elementi essenziali per la vita, ma le concentrazioni osservate nelle larve dei siti più contaminati superano quelle attese per il loro fabbisogno  (se così non fosse la loro concentrazione sarebbe identica o confrontabile nelle tre popolazioni studiate).

“I moscerini che abbiamo studiato – spiega Valeria Lencioni, coordinatrice dell’Ambito Clima ed Ecologia del MUSE – sono gli unici insetti che riescono a colonizzare le gelide acque dei torrenti glaciali, dove le condizioni ambientali sono considerate estreme per la vita. Il cibo è scarso e le larve hanno l’intestino pieno di limo glaciale che fissa sulla propria superficie i metalli e li può veicolare nel corpo dell’animale. Si nutrono probabilmente dei batteri che crescono sulla roccia, essendo scarsi o assenti alghe e il detrito organico. Le specie del genere Diamesa sono considerate indicatrici di glacialità e sono minacciate di estinzione dai cambiamenti climatici che alterano l’unico ambiente in cui sono adattate a vivere”.  

Larve del moscerino Diamesa zernyi


“I dati raccolti – conclude Lencioni - destano preoccupazione per il nichel, accumulato in una concentrazione vicina a quella considerata critica per la sopravvivenza di altri insetti testati in laboratorio (es. il moscerino del genere Chironomus)”.   E quindi lo scioglimento dei ghiacciai, nella sua drammatica accelerazione, sta portando alla luce nuove storie e ambiti di ricerca.

Un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Nature and Culture dai ricercatori Mauro Gobbi (MUSE di Trento) e Daniel Gaudio (Università di Durham, UK) spiegano come, paradossalmente, il ritiro dei ghiacciai possa fornire la possibilità di svolgere ricerche inedite e ricostruire storie uniche e, talvolta, personali. Ma anche che dobbiamo essere consapevoli che “saremo l’ultima generazione che avrà ancora la possibilità di ascoltare le storie che i ghiacciai e l’ambiente circostante hanno da raccontarci”.

Quello che preoccupa gli scienziati è che senza un monitoraggio nel tempo, non potremo capire gli effetti negativi che avrà la scomparsa dei ghiacciai sul funzionamento degli ecosistemi e quindi anche sul nostro stile di vita. Serve anche una accurata conoscenza della biodiversità glaciale.
Purtroppo ci sono  ghiacciai che non rientrano in aree protette quindi non sono soggetti a forme di tutela.

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