Shirin Ebadi, la donna col megafono
Imparare dalle sconfitte, avere un sogno, andare avanti
Ci sono paesi in cui la testimonianza di due donne in tribunale vale quanto quella di un uomo. L'Iran ad esempio, dove la dittatura religiosa non consente libertà di pensiero e di azione e dunque inibisce le scelte dei suoi cittadini, i quali sono solo sudditi di un potere in cui a decidere ogni cosa è il Leader Supremo che viene prima e sta sopra il capo del governo. E' l'ayatollah. Ed è questo anche il paese dove la voglia di riscatto pulsa con decisione nelle vene di molti giovani e dove il 70% degli iscritti all'Università è rappresentato da donne.
“Sono loro che potranno cambiare le cose. Bisogna sempre parlare di femminismo perchè le donne subiscono ingiustizie in tutti i paesi del mondo” afferma Shirin Ebadi premio Nobel per la Pace che per aver difeso i diritti dei più deboli, specie donne e bambini, ha pagato sulla sua pelle la persecuzione dell'ayatollah (prima Khomeini, oggi Khamenei).
Ecco perchè dal 2009 vive in esilio volontario in Gran Bretagna. “Solo così posso essere utile al mio paese”. Il suo desiderio e la sua massima aspirazione è la libertà per tutti e non a caso il suo ultimo saggio si intitola “Finchè non saremo liberi” una sorta di libro di memorie di 40 anni di battaglie. Musulmana, cresciuta religiosamente ma in una famiglia di grandi vedute e aperture verso tutte le religioni, Shirin Ebadi non si riconosce nelle leggi coraniche dei governanti di quello che chiama ancora il “suo” paese.
“Sono un insieme di norme inventate, frutto di una interpretazione errata del Corano: vengono definite leggi coraniche, ma non lo sono per nulla” ha detto di recente durante gli incontri che ha tenuto tra Trento, Riva del Garda e Rovereto. Autenticamente pacifista guarda a Trump come si può guardare il diavolo. Senza nominarlo alla Campana dei Caduti ha vergato sul libro d'onore “Spero che il Suono della Campana arrivi a chi vende armi”. Pochi giorni prima da perfetto business man Trump ne aveva venduto in un solo giorno per 110 miliardi di dollari.
Pace e Libertà sono un tutt'uno e lei sa bene cosa significhi lottare per la libertà: come magistrato prima e come avvocato poi, ha difeso molti giovani che ne erano stati privati magari solo per essere stati trovati insieme (basta essere in cinque per essere sospettati di cospirazione). Lei stessa finì in prigione per aver denunciato un caso di violenza da parte della Polizia che aveva ucciso un manifestante. Ma tutta la sua famiglia ne ha pagato le conseguenze: il marito venne a sua volta arrestato e torturato, la sua carriera venne stroncata (era stata la prima donna magistrato a Teheran) arrivarono a confiscare i suoi beni e ad accusarla di evasione delle tasse per quel Nobel che aveva ritirato a Stoccolma come premio per il suo impegno civile.
Ha lasciato un compito per tutti: avere un sogno e portarlo avanti senza paura di sbagliare o di fallire. La democrazia è come una scala da salire, dice. “Fatto uno scalino devi mettere il piede sul successivo”.
E l'esempio che ha offerto è stato bellissimo. “Se io non sapessi cosa vuol dire essere sconfitti, se non fossi stata perseguitata oggi non sarei qui a parlarvi e non potrei farlo da Premio Nobel. Sto fuori dall'Iran perché solo così posso essere un megafono". Quando a come si comunica oggi è stata lapidaria: "I social network sono come la lama di un coltello: si può sbucciare la frutta o uccidere le persone”.
Autore: Segreteria di Redazione
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