Silvio Pellico, turista per forza
Duecento anni fa arrivava allo Spielberg
Nella casa-museo di Saluzzo, dove Silvio Pellico nacque il 25 giugno 1789 proprio mentre in Francia stava per scoppiare la Rivoluzione Francese, c'è un dipinto che raffigura il momento in cui Pellico lascia le carceri di San Michele a Venezia per lo Spielberg, assieme al compagno di Carboneria e di sventura Piero Maroncelli.
Duecento anni fa veniva emessa a Venezia la sentenza con la quale Silvio Pellico veniva condannato a morte, pena condonata dall'imperatore Francesco I d'Austria a 15 anni di carcere duro da scontare nella fortezza dello Spielberg, in Moravia. Pellico vi giunse dopo due settimane di viaggio.
Una detenzione al limite dell'esistenza, durante la quale Pellico ritrovò la fede cattolica, dopo una gioventù trascorsa negli ideali illuministi e anticlericali.
Il giornalista e scrittore Sergio Tazzer ha presentato, nella Sala Ogilvy dello Spielberg, il suo ultimo libro ''Pellico. Turista per forza'' - In viaggio tra le prigioni di mezza Europa, edito da Kellermann.
Sergio Tazzer, giornalista e scrittore
Arrestato a Milano nell'ottobre 1820, Pellico venne tradotto a Venezia, dove il giudice istruttore Antonio Salvotti, trentino, era incaricato di sventare ogni congiura punita come tradimento dal codice penale austriaco del 1803.
L'Austria era infatti divenuta paese dominante, dopo la caduta del napoleonico Regno d'Italia. Salvotti aveva già fatto condannare i carbonari polesani, e quindi prima contro Pellico e Maroncelli, poi contro i carbonari lombardi del conte Confalonieri ebbe compito facile, concluso con pene capitali, condonate da Francesco I in lunghe pene detentive al carcere duro, vuoi nel Castello di Lubiana, vuoi nella Fortezza dello Spielberg, in Moravia. Questo venne considerato, dai ribelli all'Austria (ungheresi, italiani, polacchi) il Kerker der Völker, carcere dei popoli. Pellico, in catene, vi rimase dall'aprile 1822 all'agosto 1830, quando fu graziato dall'imperatore d'Austria.
Ritornato libero nel natio Piemonte, osservato con sospetto dal potere sabaudo, fu spinto alla scrittura delle sue memorie dal vecchio confessore. Nacquero così Le mie prigioni, il best seller italiano dell'Ottocento, che dece – disse il cancelliere imperiale von Metternich – più male all'Austria di una battaglia perduta. Riportò nel testo la vicenda drammatica di una parte significativa della sua esistenza, dall'arresto a Milano, all'istruttoria ed alla condanna a Venezia, alla carcerazione nello Spielberg. Il libro fu considerato dai clericali reazionari un malvagio libello, mentre i liberali lo criticarono come un testo debole, arrendevole, troppo cattolico. Le mie prigioni, tradotto anche all'estero, ebbe più notorietà del manzoniani promessi sposi, aiutando anche le classi meno istruite a comprendere gli ideali di libertà e di indipendenza che furono la spina dorsale del Risorgimento italiano.
A duecento anni dalla condanna a Venezia e dalla carcerazione nella Fortezza dello Spielberg (Špilberk), le autorità cittadine di Brno e regionali della Bassa Moravia hanno organizzato tre giorni italiani, gli Italské dni na Špilberku, caratterizzati dalla deposizione di corone di fiori nei diversi memoriali dei patrioti italiani da parte dell'ambasciatore d'Italia in Repubblica ceca, Mauro Marsili, e dalla sindaca di Brno, Markéta Valkova. Nel museo dello Spielberg è stato inaugurato anche un nuovo allestimento espositivo dell'ala carceraria.
Fame, durezza carceraria in catene, malattie che studiosi recenti hanno messo in collegamento con quelle sofferte nei Lager tedeschi della seconda guerra mondiale, momenti di solidarietà degli stessi carcerieri con i prigionieri, la vicenda della amputazione della gamba di Pietro Maroncelli, che alla fine donò al barbiere-chirurgo l'unico bene che possedeva: una rosa.
Quando, la sera dell'1 agosto 1830 Silvio Pellico venne liberato e scese, senza catene e avvolto in un pastrano militare, fu accolto a Brno da «un bellissimo lume di luna. Le strade, le case, la gente che incontravano, tutto mi pareva sì gradevole e sì strano, dopo tanti anni che non aveva più veduto simile spettacolo».
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