Scienza, Ambiente & Salute

Desaparecidos: Takis, il vaccino con la pistola e Reithera

Clamorosamente in panne la sperimentazione italiana (nonostante i fondi)

Si chiama Takis ed è italiano. La sperimentazione era partita ad inizio marzo a Monza. Ebbene che ne è stato?

All'epoca si scrisse che si trattava di un vaccino tutto italiano anti Covid-19 ideato dalla Takis di Castel Romano (Roma) sviluppato in collaborazione con la Rottapharm Biotech di Monza. Il primo volontario sano degli 80 previsti per la fase 1 è stato vaccinato il 1 marzo 2021 nell'ospedale San Gerardo di Monza, uno dei tre centri italiani che, in collaborazione con l'Università di Milano-Bicocca.

Come funziona Takis? Anzitutto non serve una siringa: viene somministrato con uno strumento che assomiglia a una pistola. Nell’inoculare un frammento di Dna, provoca una debolissima scossa elettrica, che dà la sensazione di una contrazione involontaria del muscolo. Agisce sulla membrana delle cellule del muscolo dove entra e agisce per "elettroporazione" andando a stimolare il sistema immunitario.

Nella sperimentazione clinica erano coinvolti l'Istituto Nazionale Tumori Fondazione Pascale di Napoli,  l'Istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma e l'Ospedale San Gerardo di Monza dove la sperimentazione è partita. Risultati e briefing post? Nessuno, al momento.

Ma c'è un altro desaparecido: il vaccino ReiThera. Il siero italiano, una profilassi classica, a ’vettore virale’ (come AstraZeneca, Johnson&Johnson e Sputnik V) è stato travolto dalla scelta europea di privilegiare i più tecnologici e moderni vaccini a RNA messaggero che stanno performando meglio contro il Covid 19.

Il vaccino pensato con tecnica classica e sviluppato dalla società biotecnologica di Castel Romano e dall’Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma è stato finanziato con 12 milioni di euro di risorse dell’azienda, 8 milioni della Regione Lazio e poi con 81 milioni di euro dello Stato, forniti da Invitalia: 41,2 milioni a fondo perduto, 7,8 di finanziamenti agevolati e per il resto l’acquisizione di una partecipazione pubblica al 30% nel capitale dell’azienda.

Era un investimento strategico in capacità produttiva nazionale. Il vaccino di Reithera aveva terminato  la fase 1 (45 volontari tra i 18 e i 55 anni e altrettanti tra i 65 e gli 85.) e la fase 2 (tre settimane in sperimentazione su 900 volontari in 21 centri italiani e uno in Germania) doveva terminare a fine maggio 2021. Dopodiché doveva iniziare la fase tre mai pianificata in dettaglio.

L’obiettivo era arrivare tra settembre ed ottobre 2021 a chiedere all’Ema l’autorizzazione all’utilizzo, ma una certa difficoltà nel ricevere i fondi pubblici ha ostacolato il percorso. Le minori disponibilità economiche rispetto ai giganti come Pfizer hanno rallentato la produzione del vaccino a differenza di quanto fece proprio Pfizer nel 2020, che – rischiando cifre importanti – fece la scommessa di produrre il siero senza avere la certezza che fosse poi approvato dall’Ema.

Questo significa che il vaccino potrebbe arrivare nel primo trimestre del 2022. Troppo tardi, adesso che la scelta dell’Europa rischia di mettere fuori gioco i vaccini a vettore virale. Sarebbe una beffa, ma chi sostiene i vaccini tradizionali sottolinea che non è detto che sia una scelta saggia: se i danni dei vaccini a vettore virale (rari casi di trombosi in soggetti con poche piastrine) si vedono subito, quelli dei sieri a RNA messaggero potrebbero eventualmente sorgere nel lungo periodo anche se secondo l’Iss queste profilassi non sono pericolose perché non si integrano nel genoma dell’ospite, quindi non c’è il rischio di mutazioni a lungo termine nel DNA.

 

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