Viaggi & Reportages

Dar Dhiafa, l'eccellenza in una casa

Tunisia (isola di Djerba): il fascino sta nei dettagli

(Erriadh, C.Perer) - Dar in tunisino significa “casa”. Questa antica dimora, vecchia di oltre due secoli, ha 14 camere: il Dar Dhiafa della famiglia Allani è un piccolo e raffinatissimo hotel di Erriadh, Isola di Djerba, in Tunisia. In ogni stanza ci sono le suggestioni lontane raccolte nei viaggi dal padrone di casa, tra Marocco e Asia, tra materiali e tecniche tradizionali (il camino in tadelakt, una pasta naturale che si ottiene con i pigmenti, calce, sapone verde e uova, lo testimonia)

L'anima del luogo è Chiara moglie di Slah Allani, veneta di Abano Terme. Ha appreso le competenza di gestione alberghiera dalla zia Lia con la quale collaborava e dalla quale ha ricevuto la sensibilità all’ascolto ed all’accoglienza dell’ospite oltre allo spirito di sacrificio ed il desiderio di fare bene e con passione il proprio lavoro. Ha seguito negli anni ’80 il corso triennale di “Discipline turistiche” alla Bocconi di Milano.

L'albergo nasce dall'unificazione di 5 distinte abitazioni, che ora sono comunicanti tra loro da corti comuni, ma prima erano case distinte ovvero gli houch, vecchi di più di 250 anni, strutturati come un quadrato con le finestre rivolte nel patio interno. L'entrata odierna era un tempo una piccola officina di biciclette. ''Abbiamo creato passaggi e ne è venuto questo piccolo hotel aperto nel 2000 come maison d'huate, non c'erano leggi specifiche al tempo e siamo nati come piccolo albergo da subito con 3 stelle" spiega Chiara Allani che ci ha messo molto gusto insieme alle intuizioni e agli echi dei  viaggi del marito.

"Abbiamo anche dovuto armonizzare il tutto: le volte sono originali ma alcune sono state totalmente ricostruite. L'abbiamo creato grazie anche all'aiuto di una coppia di conoscenti che ci ha aiutato, lei francese di Avignone che ci ha aiutato a creare un'offerta turistica già presente nel Sud della Francia. Ha seguito una parte di restauri e di adattamenti architettonici''.

La coppia italo-tunisina ha tenuto aperto anche nei momenti più duri. “Dopo il Bardo e l'attentato sulla spiaggia di Sousse non abbiamo visto più nessuno” afferma lei. “I terroristi volevano che tutti smettessero ma si deve resistere. La Tunisia e la sua apertura disturbano il mondo islamico e quindi han tentato in ogni modo di destabilizzarla” e racconta di quel tragico 7 marzo 2016 di cui poco o nulla si è scritto in Italia quando c'è stato un un imponente bombardamento a Ben Gardane alla frontiera tra la Tunisia e Libia. Qualche media francese ipotizzò operazioni Isis volte alla conquista persino di Djerba, ma le forze armate tunisine - intervenute immediatamente e con grande dispiegamento di mezzi – impedirono sin dalla frontiera una penetrazione Isis. E a battersi fu soprattutto la società civile che seppe dare le indicazioni giuste alle forze tunisine a dimostrazione che a fare la differenza è il grado di maturità di una comunità.

“Avevamo chiamato in Italia per informarli che stavamo bene e che non si preoccupassero. Ma l'Italia non ha saputo nulla e ancora non me lo spiego. Ci hanno sicuramente salvato i servizi segreti presenti sul luogo che hanno permesso di segnalare subito cosa stava accadendo” afferma con sollievo Chiara Alliani. Il piccolo hotel a causa del'instabilità nell'area ha sofferto, ma è restato aperto.

Mai avuto paura?
No, guardo al futuro con l'incertezza che può avere ogni persona di Bruxelles, Roma o Parigi. Anche la speranza è una ennesima chiamata alla resistenza. Siamo consapevoli che il nostro prodotto si fa trovare dagli amanti, per un pubblico esclusivo che accetta siano necessari 20 minuti di macchina per andare al mare, pur di stare nella vera tradizione djerbana.

Signora Allani quali sono le motivazioni del vostro resistere?
Dare senso a ciò che è stato fatto. No, chiudere le porte non avrebbe senso. Restiamo perchè già resistere è una bella battaglia e perchè tutto ha ancora un senso ma la cosa principale è che non sapevo come la sfida iniziale comportasse anche un coinvolgimento diretto e personale.

Ma se dovesse andare via tornerebbe in Italia?
Probabilmente no, sono qui da 24 anni e a Tunisi vivono marito e figli.

Quali erano allora le vostre attività qui in Tunisia?
Per molti anni mio marito è stato imprenditore tessile. Aveva iniziato nell'88, per 18 anni ha gestito 1800 dipendenti, ai clienti italiani forniva confezioni sportive. Avevamo già acquistato degli "houch" djerbani, quando nel 2007 con l'apertura della Cina gli italiani hanno iniziato a comprare il made in China. Lui ha continuato, ma il mercato si era fatto difficile. Ha tenuto, ma nel frattempo è arrivata la rivoluzione dei gelsomini e dal punto di vista sociale non era più possibile rispettare gli ordini, a causa degli scioperi, così nel 2014 ha deciso di chiudere.

Come nasce l'idea di un hotel de charme?
Mio marito aveva avuto l’intuizione a fine anni ’90 di acquistare alcune case a Djerba che negli anni ‘70/80 le famiglie della comunità ebraica avevano abbandonato (alcune erano semi-distrutte) e quindi erano sul mercato a quotazioni vantaggiose. Poi sono venuti i restauri e in alcuni casi la ricostruzione.

Come vi siete presentati nel mercato?
Nel 2000 come maison d’hôtes. Era il periodo dei grandi alberghi,  il nostro - molto piccolo - è stato il primo Dar.

Altri progetti in corso?
Come no, abbiamo acquistato uno spazio e attivato un secondo ristorante in una bella piazzetta molto vicina al nostro Dar. Lì possiamo accogliere i gruppi più numerosi e soprattutto possiamo pensare di animare l'area. E sempre in questa piazzetta un terzo spazio per creare una galleria d'arte.


Autore: Corona Perer

www.giornalesentire.it - riproduzione riservata*

Gallery

Commenti (0)