Verso la fine dell'umanità?
di Thierry Vissol
di Thierry Vissol* - Per la prima volta nella sua lunga storia, l'umanità è in crescente e reale pericolo, forse inevitabile, di estinzione a causa delle attività sconsiderate dell'homo sapiens.
La paura della fine del mondo, dalla preistoria fa parte del patrimonio culturale dell'umanità. Era legata all'osservazione del ciclo della vita, alle catastrofi dovute a cataclismi, al maltempo e alle carestie, alle pandemie, terrificanti e inspiegabili. Ma fin dall'antichità, il rapporto tra i cambiamenti climatici e le concomitanti catastrofi per le persone e i governi è stato oggetto di analisi e riflessioni.
Ippocrate, Aristotele e i loro seguaci pensavano alla Terra come a un insieme unificato, un sistema di flussi materiali che collegano suolo, oceano, atmosfera e vegetazione. Plinio, nella sua "Storia naturale", affermava che gli esseri umani potevano contribuire a modificare la pioggia, il calore e il vento. Quindi, la questione del rapporto biunivoco tra clima e attività umana è diventata un'importante questione politica, oggetto di studi e dibattiti appassionati. Dal Settecento, scienziati e politici si sono posti due domande: questi cambiamenti climatici sono spontanei? Oppure derivano dagli effetti dell'azione umana?
Da meta' del secolo scorso, lo studio sistematico della storia del clima e le ricerche in climatologia hanno permesso di rispondere affermativamente a entrambe le domande.
Sebbene il clima fu relativamente stabile negli ultimi 12.000 anni, ha subito variazioni talvolta significative per decenni o addirittura per secoli, sconvolgendo la vita degli esseri viventi, della fauna e della flora. Queste variazioni erano dovute principalmente a cause astronomiche, ma anche all'attività umana. L'aumento medio della temperatura (+1,2%) dalla fine della "Piccola Era Glaciale" intorno al 1850, i cui effetti si fanno sentire in modo sempre più allarmante, non può essere negato. Naturalmente, è difficile valutare l'esatta proporzione delle cause astronomiche, che sono indiscutibili, e distinguerle da quelle antropiche. Tuttavia, è innegabile che l'attività umana e il progresso tecnico, l'urbanizzazione, l'agricoltura intensiva e la deforestazione hanno sempre avuto un impatto sul clima. Tuttavia, mai nella misura in cui lo conosciamo dal 1950, principalmente per tre motivi.
Il primo è che, nonostante la non vincolante Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) del 1992, e gli impegni a parola degli Stati assunti nelle 26 COP (Conferenze dei 197 firmatari), le temperature e le emissioni di gas serra (GES) continuano ad aumentare. Tra il 2000 e il 2021, i GES prodotti dai combustibili fossili sono aumentati del 47,4% rispetto al 13,1% registrato tra il 1989 e il 2000. Tutti i Paesi del mondo continuano a promuovere politiche economiche in contraddizione con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi (2015), riaffermato a Glasgow nel 2022, di ridurre le loro emissioni di GES per limitare il riscaldamento globale a meno di 2° C, e se possibile (sic!) a 1,5°C.
La guerra della Federazione Russa contro l'Ucraina, e forse quelle che verranno, stanno spingendo molti Paesi a riaprire o sviluppare centrali elettriche a carbone. Di conseguenza, l'ultimo rapporto IPCC, pubblicato nel febbraio 2022, prevede che le temperature aumenteranno di 1,5°C entro il 2030 e potrebbero raggiungere i 3,5-5°C entro il 2100 se non si interviene. Ora, le soluzioni attualmente proposte avranno solo un effetto marginale rispetto alla sfida, sia che si tratti di "transizione energetica", di "crescita sostenibile" (comprese le auto elettriche), sia che siano solo di facciata, del "green washing", perché si basate su tecnologie che non esistono ancora o sono difficili da implementare o sono pericolose, come la "carbon neutrality", proposta per il 2050 dalle multinazionali, responsabili del 70% delle emissioni di GES.
La seconda ragione è l'esistenza di effetti a cascata e di retro-effetti. Due esempi tra tanti. La riduzione delle superfici ghiacciate riduce l'effetto di riverbero dei raggi solari, aumentando così il riscaldamento della terra e del mare, interagendo negativamente con gli ecosistemi. Lo scioglimento del permafrost, che si sta verificando per la prima volta dalla fine dell'ultima era glaciale, libera batteri che decompongono la biomassa immagazzinata nel suolo ghiacciato, provocando emissioni di CO2 e di metano, accelerando il riscaldamento globale. Inoltre, esiste un'enorme inerzia nei processi climatici e una relazione esponenziale - non lineare - tra l'aumento della temperatura e gli eventi meteorologici estremi. Tanto che, come nota lo storico della scienza e del clima Pascal Acot: "Se mettiamo insieme tutte le inerzie ecologiche, e quindi climatiche, del pianeta, e tutti i punti di non ritorno in ogni processo di degrado degli equilibri ecosistemici, otteniamo una risultante teorica, cioè un momento davanti a noi in cui non potremo più tornare indietro".
Infine, l'umanità ha intrapreso - a occhi chiusi e nell’indifferenza generale - il cammino verso una società totalmente digitale. Questa involuzione, oltre all'impatto in termini di libertà individuali e di espressione dovuto a una sorveglianza sistematica delle nostre attività e comunicazioni, presenta, nel peggiore dei casi, un rischio estremo di collasso di questa nuova civiltà o, nel migliore dei casi, una spaccatura delle società tra chi controlla e chi è controllato. Questa società interconnessa e ancora più interdipendente di quanto non lo sia diventata con lo sviluppo industriale e tecnologico.
La crisi di Covid, e poi la guerra in Ucraina, ci danno un'anticipazione delle conseguenze di tale interdipendenza e iperspecializzazione, quando vengono sconvolte dall'interruzione del commercio e dalla disorganizzazione delle catene del valore. Le cascate di effetti e retroeffetti dovrebbero incoraggiare la cautela nell'evoluzione verso società sempre più interdipendenti e dipendenti da un'unica tecnologia tanto invasiva quanto fragile. Il cyberspazio, oltre al software, ai protocolli e alle informazioni che vi circolano, si basa su infrastrutture fisiche: server DNS, router, cavi, satelliti, ecc. Esse sono molto complesse, difficili da gestire e proteggere, richiedono una manutenzione costante e sono ad alta intensità energetica (7,3% delle emissioni di GES). Sono quindi estremamente fragili e suscettibili di guasti sistemici o attacchi distruttivi. Tali "fallimenti sistemici" porterebbero contribuire al collasso delle nostre società.
La voracità dei nostri sistemi economici e il richiamo del profitto a tutti costi sono i fattori autodistruttivi delle nostre società coercitive e saccheggiatrici. Gli effetti dell'avidità, della violenza, dell'ignoranza, del fanatismo, della miopia politica, della sovrappopolazione, dell'eccessivo sfruttamento di tutte le risorse disponibili, così come la competizione tra le grandi potenze e le multinazionali per accedervi, sono i presupposti di una catastrofe annunciata.
Qualche anno fa, ill fisico e filosofo Jean-Pierre Dupuy, poneva una domanda cruciale: "Siamo solo capaci di credere a ciò che sappiamo, di prevedere questa spirale di collasso e di agire per porvi fine?". Una domanda alla quale, allo stato attuale delle cose, la risposta è ovviamente negativa. Possiamo fare nostra la sua conclusione: "La sfortuna è il nostro destino, ma un destino che è tale solo perché gli uomini non riconoscono le conseguenze delle loro azioni ».
*Direttore del Centro di Libera Espressione
Fondazione Giuseppe Di Vagno
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